Martino Pirone
Anche l'invidia, senza virgolette, rovina il fegato e la mente d'una persona. Forse più della rabbia. E forse sarebbe (è) meglio evitarle tutt'e due. Per l'invidia mi sembra più facile: contentarsi di quel che si ha senza guardare a quello che hanno gli altri non rappresenta un gran sacrificio. Solo una piccola riflessione sulla relatività del benessere: non è dimostrato che possedendo di più ci si gratifichi di più. Esistono invece numerose dimostrazioni del contrario, compresa quella che associa l'infelicità all'aver troppo. Naturalmente questo non esenta dall'indispettirsi quando si vede che ottiene benefici chi non li merita. E qui subentra, più che l'invidia, la rabbia. Contro questo genere di rabbia (ci sono diversi generi di rabbia) non è facile arginare il sentimento dell'insofferenza. Perché la motivazione consiste nella certezza d'aver subito un'ingiustizia, e subire un'ingiustizia causa una naturale ribellione. Si può perdonare chi c'infligge un'ingiustizia? Si può, se pensiamo che tutto (usiamo prudenza: quasi tutto) sia perdonabile. Non si può se vediamo - come ogni giorno vediamo - che l'ingiustizia non rappresenta l'eccezione bensì la regola. Che la subiscono quelli che non dovrebbero subirla. Che il mondo degli esclusi si va allargando, includendone sempre di nuovi. C'è un solo argine all'ingiustizia: non è il riscatto, purtroppo e spesso oggettivamente impossibile da perseguire. E' la rassegnazione. Che costituisce qualcosa d'ancor peggiore della rabbia. Ecco, è la rassegnazione la piaga più dolorosa di questo tempo. Dolorosa e senza ragionevole prospettiva di rimarginarsi.
Max Lodi
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