Cara provincia
Mercoledì 18 Febbraio 2009
Sanremo, un palco lontano dalla crisi
In un momento di crisi nera, gli organizzatori avrebbero potuto essere più parsimoniosi
Leggo molte proteste per il fatto che con i soldi di tutti coloro che pagano il canone radiotelevisivo vengono sborsati dalla Rai circa venti milioni di euro per realizzare il Festival di Sanremo. Di questi, un milione andrà tondo tondo al conduttore Bonolis. Le cifre in sé possono sembrare spropositate, ma allora bisognerebbe considerare fuori di ogni logica anche altre per spettacoli diversi da Sanremo. Invece lo scandalo scoppia sempre e solo per Sanremo, come se la manifestazione fosse la peggiore di quelle trasmesse in tivù, senza tener conto del ritorno pubblicitario. Trovo in tutto ciò molta demagogia, e non si venga a dire che in tempi di crisi ci si deve comportare diversamente. Queste polemiche ci sono sempre state, crisi o non crisi.
Paolo Di Benedetto
Lei ha ragione, caro amico, sul fatto che Sanremo sia occasione imperdibile per polemiche d’elevata ribalta, di larga eco e dunque di goloso interesse politico. Ovvio che l’interventismo populistico di partito la colga, ci meraviglieremmo se non accadesse. Eppure sono i partiti, tramite i loro mandatari a governare la Rai, che fissano quali compensi assegnare a quali artisti per quali occasioni. Né valgono scusanti a discolpa di quanti stanno oggi all’opposizione e inveiscono alla maggioranza: a parti rovesciate, in passato, fecero ciò che oggi aborriscono. Budget ricchissimi per Sanremo, conduttori strapagati, qualche minuto d’ospitata (sia pure d’ospitata di lusso) retribuito sontuosamente: questo è il mercato, si è sempre detto. E questo è vero. Sanremo richiama tesori di sponsorizzazioni, si è sempre sostenuto. E anche questo è vero. Sanremo è lo specchio del costume italiano, si è sempre chiosato. Ed è vero persino questo. Ma proprio perché la manifestazione funge da misuratore della temperatura sociale del Paese, se questa temperatura sale, c’è altro che deve scendere. Per esempio l’erogazione dei soldi che finanziano l’evento. Un sogno impossibile? Forse. Però si sarebbe potuto tentare di proporlo. Spiegando ai teleutenti che, essendo i tempi d’un gramo speciale, la televisione di Stato decideva d’adeguarvisi, mandando in onda un Festival in edizione il più possibile parsimoniosa. Magari (magari: è da dimostrare) lo spettacolo si sarebbe rivelato d’inferiore pregio, però il segnale di sensibilità inviato a chi tira la cinghia avrebbe raccolto un consenso popolare capace di pareggiare quello qualitativo eventualmente perduto. Il teleservizio pubblico non deve solo badare a offrire il meglio dello spettacolo, ma anche lo spettacolo che meglio s’adatta al momento del Paese.
Max Lodi
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