Cronaca / Como cintura
Domenica 23 Dicembre 2018
La testimonianza: «Noi, con il viadotto fuori dalla finestra... Una presa in giro»
Una vita sotto il ponte dei Lavatoi. Nel 2000 l’esproprio del giardino: «Ci siamo fidati delle istituzioni, un grande errore»
Una vita vissuta sotto al ponte dei Lavatoi: «Il nostro più grande errore è stato fidarci delle istituzioni». Susanna Camporini, una docente delle scuole di Grandate, abita con la madre di 82 anni in via Donatori di Sangue 7, in una palazzina costruita nel lontano 1959 dal padre e dal nonno. Tra il 2000 e il 2001, quando con urgenza sono partiti gli espropri per la costruzione del ponte, è iniziata una disavventura che ha sgretolato, anno dopo anno, i sogni che la famiglia aveva fatto nascere dentro casa.
«Ai tempi c’era ancora mio padre e le mie sorelle si erano sposate da poco – racconta Susanna – tempo due settimane, tecnici e ingegneri sono venuti e si sono presi il nostro giardino, le piante da frutto, la casetta in legno, hanno trasformato tutto in un’area da cantiere. Siamo arrivati a non poter nemmeno più posteggiare l’auto in garage per far spazio ai lavori. Sono stati anni di scosse, rumori, polveri, fastidi, crepe nelle piastrelle e fogne fuori uso. Mio padre 17 anni fa è morto e non ha fatto in tempo a vedere l’opera finita. Ma scuotendo la testa continuava a ripetere che per lui non si poteva costruire un viadotto sopra alla nostra piccola valle perché era piena di terra da riporto, era stata ricoperta con i detriti del vecchio ospedale Sant’Anna».
Al posto del giardino sono arrivati i piloni, la famiglia Camporini non ha mai preteso risarcimenti economici, non ha mai incaricato legali, pur avviando le dovute perizie sulla struttura oggi diminuita di valore. «È stato il nostro più grande errore, ci siamo fidati delle istituzioni – racconta Camporini – tutte, indipendentemente dal colore politico. Avremmo dovuto insistere, chiedere risposte scritte e garanzie agli uffici comunali, forse lo farò io ora. Papà ci aveva spiegato che l’arrivo del ponte ci avrebbe certo creato dei disagi, che ci saremmo finiti noi di mezzo, l’opera però era importante per il bene della città, secondo tutte le autorità quello era l’interesse pubblico e occorreva quindi portare rispetto. Aveva un grande senso civico: invece guarda com’è andata a finire la storia del ponte dei Lavatoi».
Milioni spesi per un’infrastruttura nata male, che doveva essere pronta a resistere per secoli ed invece è già da sistemare. Il signor Natale Camporini, classe 1933, ha sempre suggerito di non realizzare il ponte, ma di ingrandire la piccola parallela via Marco Cumano, già a livello e in grado di collegare via Belvedere e via Oltrecolle.
«Chissà, magari era un’idea valida – dice ancora l’insegnante – ormai però sotto al ponte dei Lavatoi abita solo mia mamma, Anna Maria, ha 82 anni. Anche lei ha faticato una vita per riuscire a costruire questa palazzina, non si tratta solo di soldi, ma anche di ricordi, di sentimenti, di orgoglio. Riuscissi a vendere casa io potrei anche andarmene, lei no, per lei il danno è morale. Mia madre dice che dormirebbe più tranquilla negli ultimi anni che le restano da vivere se quel maledetto ponte lo buttassero giù».
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