Cronaca / Como città
Lunedì 24 Settembre 2018
Asat, fuggito dai talebani
Ora inforna il pan de comm
DIOGENE / L’odissea del giovane profugo che lavora nel panificio Beretta: «I comaschi sono meravigliosi. Qui mi sento a casa»
Domani torna in edicola Diogene, in regalo con il quotidiano La Provincia. La storia di Asat è stata pubblicata nel numero uscito martedì scorso, 18 settembre
A sentir chiedere di Asat, alla signora Tina Beretta si illuminano gli occhi: «Guai a chi me lo tocca! Per me è come un figlio» esordisce. In effetti, come fa a non entrarti nel cuore un ventitreenne con un sorriso così? Sorriso che neppure la precipitosa fuga da casa sua, quando aveva appena 14 anni, è riuscita a spegnere. E sì che di motivi per soffocare il sorriso con il rancore Asat ne avrebbe tanti altri. Ma all’odio, lui, ha preferito la vita.
«Como è meravigliosa» aveva esordito la prima volta che ci eravamo incontrati, un anno fa. Quando aveva deciso di aprire alla città la valigia dei ricordi e di raccontare quel viaggio che lui non avrebbe mai voluto fare, anche se oggi a Como ha un lavoro, ha degli amici, ha imparato cosa vuol dire essere circondato dall’affetto delle persone e ha una seconda mamma, come Tina Beretta.
La fuga
Nato in Afghanistan, Asat Ahmadi s’è visto scippare l’adolescenza. «Quando ero piccolo - racconta - i talebani hanno ucciso mio padre e mio fratello. Li hanno uccisi perché mio padre collaborava con gli americani, faceva l’autista per loro. E questo ai talebani non piaceva». Erano gli anni successivi alla guerra contro il terrore, dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Tutti coloro che collaboravano con gli Usa erano automaticamente nemici. Loro e la loro famiglia. Soprattutto i figli maschi.
«Avevo 14 anni - ricorda ancora Asat - quando mia mamma mi ha detto che dovevo andarmene dall’Afghanistan. Altrimenti sarei stato ucciso anche io» come atto di rappresaglia da parte dei talebani. Ancora adolescente, senza aver mai visitato altro che il paese d’origine, Asat è costretto ad abbandonare la casa, la madre e la sorella. Viene caricato su un camion da un conoscente di famiglia, che accetta di portarlo verso il Pakistan: la prima tappa di un’odissea durata ben più di un anno che lo porterà ad attraversare Iran, Turchia, Grecia, Adriatico e mezza Italia, fino a Como.
In balia dei trafficanti
Passando attraverso strette strade montane, il camion con a bordo Asat esce dall’Afghanistan. Ma la permanenza in Pakistan non è certo breve: «Sono rimasto lì per oltre due mesi - racconta ancora il ragazzo - Ho trovato lavoro in un bar, dove vivevo». Il nome della città? A 14 anni, via di casa per la prima volta, fatichi a orientarti. «Non so dove fosse quel bar» spiega Asat.
Il lavoro al bar è servito per pagare la tappa successiva del viaggio: «I soldi del mio lavoro io non li ho mai visti. Penso siano serviti per pagare chi poi mi portasse fino in Iran». Trafficanti di uomini, impegnati ad arricchirsi sfruttando il sogno di chi fugge alla ricerca di un futuro migliore.
Perché, al netto della propaganda e delle eccezioni - che non mancano mai - con la sua storia Asat racconta due verità sul tema immigrazione: non solo chi lascia la sua terra lo fa con la morte nel cuore («io da nove anni non ho più notizie di mia mamma e della mia sorellina», spiega spegnendo il suo sorriso), ma quando inizia il viaggio finisce inesorabilmente nelle mani di trafficanti il cui unico scopo è guadagnare sulla pelle dei profughi.
Arrivato in Iran, il ragazzo trova un altro “lavoro”: «Ho fatto l’imbianchino per due o tre mesi. Ma sono stato molto fortunato: ho lavorato con un uomo molto buono. Mi ha voluto davvero bene». E ti vien da pensare: come può essere altrimenti? «No, anche in questo caso i soldi del mio lavoro io non li ho visti». Finiti ancora una volta nelle tasche di qualche trafficante che potesse accompagnare il ragazzo nella terza tappa del suo viaggio: la Turchia.
«Io non sapevo dove andare. Sapevo solo che volevo raggiungere un posto dove fossi al sicuro». E la Turchia non era quel posto. «Sono arrivato in Grecia. E lì sono rimasto tanto tempo». Otto mesi, per la precisione. «Otto mesi a lavorare nei campi, non so esattamente dove. Ma non mi piaceva quel posto perché chi lavorava con me beveva e quando beveva diventava violento». Ma servono i soldi per pagarsi una nuova tappa: Asat è in viaggio ormai da oltre un anno. Il tempo in quel campo della Grecia sembra non passare mai. Quando un giorno, finalmente, il giovane coglie la sua occasione. «Stavamo caricando un camion diretto in Italia con frutta e verdura. E il trafficante mi dice che se voglio posso nascondermi a bordo tra la merce. L’autista del tir però non sapeva nulla. Non era a conoscenza del fatto che io, assieme ad altre quattro o cinque persone, eravamo nel suo camion» diretto in Italia.
«Como, la mia casa»
Per più di ventiquattr’ore Asat e suoi compagni di viaggio rimangono nascosti con la merce. All’arrivo ad Ancona, capiscono che il momento per uscire è arrivato: «Il trafficante ci ha detto di non bussare subito, perché altrimenti il camionista avrebbe potuto consegnarci alla polizia. Così dopo due ore dallo sbarco, quando si è fermato, abbiamo bussato. Ha aperto ci ha guardati come dire: “Ma voi cosa ci fate qui?” e ci ha fatti scendere mandandoci via». Senza parlare una parola di italiano, Asat cerca i binari, una stazione, sale sul primo treno che però lo riporta ad Ancona. «Qui sono andato in un parco, ho trovato un altro afgano che mi ha detto: “Vai in Svizzera”. E così, eccomi qui».
A Como Asat viene fermato dalla polizia, portato in Questura e, siccome minorenne, affidato alla struttura d’accoglienza di Tavernola. «Poi mi chiedono: preferisci andare in comunità o in famiglia? Io ho detto “famiglia”, anche perché mi mancava molto la mia mamma». E i comaschi che accolgono Asat diventano davvero una seconda famiglia: «Ho vissuto per cinque anni con Antonella, suo marito e i figli. La sola cosa che non mi piaceva era il cibo - sorride - ma non l’ho mai detto». Da alcuni anni Asat lavora al panificio Beretta: «Qui sto benissimo». Ha una casa. Gira per Como in bici. Adora i comaschi. Ma ha un sogno nel cuore: «L’anno prossimo le ferie le farà in Afghanistan. Voglio ritrovare mia mamma».
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