Cronaca / Como città
Domenica 03 Ottobre 2021
Caso Scibelli, il Comune paga
E ammette di aver sbagliato
La transazione a titolo di riparazione per il danno subito. E l’amministrazione voleva la clausola di segretezza
Il Comune accetta di sborsare 45mila euro a titolo di risarcimento del danno per il licenziamento illegittimo del capo di Gabinetto - per meno di tre settimane - Filippo Scibelli. E nella prima bozza dell’accordo tenta pure di giocarsi la carta del vincolo di riservatezza, per non dover rendere conto ai comaschi dell’errore costato l’ingente esborso di denaro pubblico.
Si è chiuso davanti al giudice del lavoro di Milano il pasticcio dell’assunzione e del “licenziamento” dell’ex generale dei carabinieri che Mario Landriscina avrebbe voluto a capo dell’ufficio di Gabinetto. Una nomina che dapprima aveva creato qualche malumore in taluni ambienti dell’amministrazione e che poi è stata fatta saltare per un’interpretazione - sbagliata - della norma sugli incarichi di ex dipendenti pubblici. Scibelli aveva scelto di andare anzitempo in pensione lasciando l’Arma, proprio alla luce dell’offerta del Comune. Due settimane dopo si è trovato a piedi, per un clamoroso errore commesso dall’amministrazione.
In realtà l’intera vicenda Scibelli è un corollario di errori. Tutto comincia Nel febbraio 2018 quando il generale neo pensionato entra a Palazzo Cernezzi, nel suo nuovo ufficio, su decreto di nomina firmato dal primo cittadino. Tempo 18 giorni e il dirigente del settore legale, Marina Ceresa, sottoscrive l’atto di recesso “per giusta causa” del contratto con Scibelli. Secondo l’interpretazione del Comune le norme avrebbero vietato ai pensionati di ricoprire ruoli retribuiti in enti pubblici.
Il pasticcio
L’ex ufficiale dei carabinieri decide di fare ricorso per licenziamento illegittimo e si rivolge all’avvocato Elisabetta Di Matteo. Quando il caso approda davanti al giudice, Palazzo Cernezzi inciampa ancora una volta: in aula a difendere le ragioni del Comune compare l’avvocato Marina Ceresa, ovvero la stessa dirigente comunale che aveva firmato l’atto con cui ha annullato l’assunzione di Scibelli. Una presenza quantomeno inopportuna, visto che la legale del Comune si sarebbe trovata in aula in una doppia veste: assistere l’amministrazione e difendere la bontà dell’atto di revoca da lei stessa firmato. Così si procede a scegliere un avvocato esterno all’amministrazione (ulteriore esborso di denaro pubblico).
Nell’ottobre 2020, il giudice del lavoro di Como condanna su tutta la linea l’ente pubblico, che si salva da un possibile salasso solo perché nel frattempo Scibelli, anziché starsene con le mani in mano, aveva trovato un altro incarico con una ditta privata (altrimenti il conto finale sarebbe stato ben più salato).
L’accordo finale
Il Comune non si arrende e fa appello. Ma nel frattempo ignora la legge che impone a chi soccombe in una causa di lavoro di pagare immediatamente quanto previsto dal giudice (poi, in caso di vittoria in appello, il lavoratore avrebbe dovuto restituire il denaro). Incredibilmente a distanza di un anno, Palazzo Cernezzi ancora non ha versato un euro a Scibelli.
Si apre la causa e i giudici di Milano avvisano il Comune: trovate un accordo, che è meglio. La giunta tentenna, discute, poi alla fine acconsente: 43mila euro e spiccioli a Scibelli a cui aggiungere il pagamento di 2500 euro di spese legali. Viene predisposta la bozza d’accordo, dove l’ente pubblico inciampa nuovamente: nell’accordo c’è il vincolo di riservatezza. Come dire: nessuno dovrà mai sapere che l’amministrazione ha pagato e quanto. Peccato che il Comune sia un ente pubblico e che i soldi persi per l’errore commesso nel 2018 siano soldi pubblici.
Scibelli rifiuta di firmare il vincolo di riservatezza. Alla fine l’amministrazione capitola e chiude con una transazione per risarcimento del danno.
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