Como: 70 migranti trasferiti
La protesta della Caritas

Bernasconi: «Nessuno di Caritas Como era stato informato. Non lo riteniamo un modus operandi corretto, guardando alla rete di reciproca collaborazione costruita negli anni».

Settanta migranti ospitati nel centro di via Regina sono stati trasferiti, le destinazioni sarebbero gli hub di Torino e Bologna. La decisione è stata contestata dalla Caritas Diocesana attraverso il suo direttore Roberto Bernasconi. .

«L’intervento - afferma Bernasconi - ci ha sorpreso e ci ha lasciato senza parole. In questi anni, con stile di solidarietà, lealtà e secondo il principio di sussidiarietà, abbiamo collaborato con tutte le istituzioni del territorio, a tutti i livelli, a prescindere dalle appartenenze politiche e nel rispetto delle competenze di ciascuno, perché a orientare ogni azione ci fossero sempre le “persone” e la loro dignità, soprattutto i più bisognosi e in difficoltà. La Caritas da due anni è accanto a Croce Rossa nella gestione del Campo di via Regina e nell’assistenza delle persone accolte (per quanto riguarda gli iter burocratici, legali, ma anche per la collocazione immediata dei soggetti più fragili, come minori, donne sole, in stato di gravidanza o con figli al seguito): nessuno di Caritas Como era stato informato dei trasferimenti decisi per questa mattina, se non attraverso una fuga di notizie. Non lo riteniamo un modus operandi corretto, guardando alla rete di reciproca collaborazione costruita negli anni. Abbiamo visto, questa mattina, tante persone che, commosse, hanno caricato sui pullman i propri bagagli salutando, con affetto sincero, gli operatori del campo: significa che, pur in condizioni difficili e particolarissime, si è lavorato bene, restituendo alle persone quel senso di umanità che i tanti ostacoli affrontati avevano affievolito o cancellato. Non abbiamo ancora ricevuto risposte circa le motivazioni alla base dei trasferimenti: ci auguriamo vadano in un’ottica di integrazione, secondo il principio delle accoglienze diffuse, che non creino tensioni e favoriscano l’inserimento nel tessuto sociale comunitario. Non possiamo, poi, non esprimere perplessità e interrogativi circa il futuro del Campo: la sua chiusura non ci sembra un’emergenza per il territorio e restano aperte le domande sulle modalità di gestione delle prime accoglienze in caso di nuovi arrivi (che restano comunque possibili) o di riammissioni da parte dei Paesi europei (che comunque continuano a esserci). Resta poi il nostro impegno a chiedere che gli iter amministrativi siano precisi e celeri (non superficiali) e che ci sia chiarezza sul futuro di tante persone che hanno completato, magari positivamente, il percorso per il riconoscimento del proprio status ma, a tutt’oggi, non ha certezze sul proprio domani, in Italia e in Europa».

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