«Como? Una città da serie A. Disponibilità massima sul Sinigaglia»

L’intervista Marco Calì, questore di Como: «Il Lario è attrattivo e una zona come questa fa gola ai malintenzionati e alle mafie»

Me lo faccia dire: quella di venerdì sera in città è stata una bellissima festa. Durante la quale tutti si sono comportati da serie A». Il questore di Como, Marco Calì, promuove i 10mila comaschi scesi in piazza per festeggiare il ritorno degli azzurri nella massima serie, dopo 21 anni. Lo fa nella prima ampia intervista che concede da quando è approdato in città, lo scorso marzo, proveniente da Milano dov’è stato per cinque anni capo della squadra mobile.

Partiamo dalla serie A?

Mi sembra giusto.

La domanda che tutti si fanno è: riusciremo a vederla al Sinigaglia o lo stadio non sarà mai a norma? La Questura, e lei in particolare, ha un ruolo determinate...

Non dipende solo dalla Questura, ma dico: niente è impossibile. Abbiamo già in programma una serie di incontri con tutti gli interlocutori coinvolti. Il perimetro a cui dobbiamo attenerci è quello della norma, e la norma prevede possibili deroghe. Quindi la possibilità di adeguare il Sinigaglia in tempo c’è: ma bisogna muoversi subito e bene.

Ma come questore, lei vede più ostacoli o più chance?

Mettiamola così: dal nostro punto di vista la disponibilità per consentire ai comaschi di vedere il Como in A a Como è massima.

Lei ha lavorato a Trieste, a Padova, a Genova e negli ultimi cinque anni alla mobile di Milano. Como è il primo incarico da questore. Com’è stato l’impatto con la città?

Ottimo. Questa è una città in grande evoluzione. Il turismo è un additivo straordinario che funziona come scossa elettrica a un territorio già di per sé produttivo e accogliente. Il lago è una meta sempre più gettonata con tutti gli effetti positivi che questo produce.

Positivi, ma non solo...

C’è anche il rovescio della medaglia, certo: una realtà ricca, attrattiva, sempre più affollata inevitabilmente fa gola anche a soggetti di malaffare: dal livello base della criminalità diffusa, e dunque borseggi, furti, piccolo spaccio, a situazioni criminali più strutturate. Con il prefetto abbiamo messo in campo diverse contromisure.

Ad esempio?

In vista dell’estate la pressione sul centro storico aumenterà sempre di più e così il rischio di borseggi o reati estemporanei. Per questo è stata implementata la presenza dell’Esercito così come quella dei presidi mobili da parte delle forze di polizia. Poi abbiamo zone che attraggono flussi di persone che hanno creato qualche problema...

Come via Anzani?

Per esempio. Ecco, cercheremo di non dimenticare alcuna area della città. E ovviamente non c’è solo la città: molte altre zone della provincia attraggono chi ha interessi illeciti, nostro compito è adeguare le contromisure perché questo è un territorio che, giustamente, richiede sicurezza.

Nelle scorse settimane, in città, abbiamo avuto la prima rapina in banca dopo tanti anni e pure il primo scippo dopo moltissimo tempo. Dobbiamo preoccuparci?

Gli eventi accadono. E quando questo avviene devono essere motivo di analisi. Anche due episodi in sé isolati, proprio perché da tanto non si vedevano, vanno studiati e devono suscitare delle domande. Per capire se sono suscettibili di evoluzione.

La sensazione, sbaglierò, è che una maggiore instabilità economica abbia fatto tornare a galla reati che sembravano ormai archiviati, in città almeno.

La crisi economica c’è. E molti reagiscono scegliendo la strada più semplice, commettere reati per recuperare soldi. È presto per dire se siamo in questa fase, ma sì: nei momenti di difficoltà economica i reati cosiddetti predatori aumentano.

Capitolo criminalità organizzata. A Como la ’ndrangheta c’è da almeno cinquant’anni. Ma noi ce ne ricordiamo solo quando ci sono operazioni di polizia. Ogni volta ci illudiamo che gli arresti siano riusciti a liberarci di questa piaga: è quello che è successo nel Comasco?

Cominciamo a dire che la criminalità organizzata non si sconfigge solo con le inchieste. La lotta alle mafie è una sfida culturale: la società civile, ad esempio, deve capire che il finto vantaggio di oggi che offrono i clan è il funerale imprenditoriale di domani. E poi preoccupiamoci quando si parla poco di criminalità organizzata: oggi è proprio nel silenzio che si muove la ’ndrangheta.

I clan cambiano pelle: meno violenza, più affari. Non c’è il rischio di non riconoscere più le mafie?

Oggi il radicamento nel territorio non avviene più con la forza, ma la capacità di intimidazione non cambia. La mafia non spara più perché non ha più interesse a far sapere della propria presenza con i megafoni, ma così facendo si mescola e penetra ancor più efficacemente nel tessuto sano.

È quanto sta succedendo anche ora a Como?

Con la Dda, quando ero a capo della squadra mobile a Milano, abbiamo certificato, con l’operazione Cavalli di razza, che rimarrà un pilastro investigativo, l’evoluzione delle dinamiche mafiose e lo abbiamo fatto proprio sul territorio comasco. Oggi l’evasione, le fatture false, i fallimenti sono i nuovi affari per fare provviste di denaro e offrire servizi a prezzi concorrenziali. Ma chi fa affari con loro non avrà mai vantaggi.

Lei è stato capo della mobile non solo a Milano, ma anche a Genova e a Padova... umanamente, cosa le resta di quelle esperienze? Quali casi l’hanno più toccata?

Mi ricordo benissimo il primo caso di sfruttamento della prostituzione. Mi ricordo lei, la ragazza, vittima di una storia clamorosa di violenza primitiva, ridotta pelle e ossa per le sofferenze. Mi son reso conto di quanto l’essere umano possa superare limiti che non ci immaginiamo. Poi mi ha colpito la vicenda attorno a Terrazza Sentimento, a Milano (il caso di Alberto Genovese, condannato per la violenza sessuale a due modelle tra l’estate e l’autunno del 2020 ndr). Uno spaccato su una società che vuole apparire sempre allegra, ma che dietro questa allegria nasconde una profonda tristezza comportamentale. Una bellissima gioventù che non si voleva affatto bene.

Il bisogno di apparire appartiene molto a realtà come Milano. Vede delle assonanze anche qui a Como?

Tutte le realtà molto produttive corrono questo rischio. Como mantiene ancora forte una buona qualità di vita, un ritmo in cui l’aspetto umano trova spazio, ma il rischio potenziale c’è.

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