«Hanno portato via mia figlia
Un’ingiustizia, aiutatemi»

Lo sfogo di una madre: «Da 13 mesi la mia bimba è in comunità». Vano il ricorso in Appello. I giudici: «Mamma in profonda crisi personale»

«Quella mattina non volevo neppure mandarla a scuola. Invece... Mi hanno chiamato alle 10 per dirmi che erano arrivati i servizi sociali e l’avevano portata via. Da quel giorno di 13 mesi fa, mia figlia vive in comunità. E io la vedo solo per tre ore al mese». Giulia non si asciuga neppure le lacrime, mentre parla di sua figlia Claudia e della sua battaglia con servizi sociali e Tribunale per i minori.

Due premesse sono obbligatorie, prima di raccontare questa storia di straordinaria sofferenza. La prima: i nomi di madre e figlia sono ovviamente di fantasia, perché Claudia - la bimba - oggi ha appena 10 anni. La seconda: in queste righe non si rifà da capo alcun processo, né si giudicano genitori o servizi sociali. Ma, fatte le dovute promesse, la storia di questa mamma che, oggi, piange la decisione di un Tribunale va raccontata.

L’inizio dell’incubo

È una storia, quella di Giulia e Claudia, che parte da un paio di anni prima. Da quando, cioè, il padre della bimba - da tempo separato dalla madre - deposita un ricorso per chiedere la decadenza dell’ex compagna dalla responsabilità genitoriale. Senza questo atto, nulla sarebbe successo. Il Tribunale dei minori non saprebbe probabilmente niente di madre e figlia. I servizi sociali (di un consorzio della provincia) non avrebbero mai incrociato la strada delle due donne. E invece, mesi dopo, i giudici avviano gli accertamenti sulla base del ricorso.

Giulia viene scandagliata da assistenti sociali e psicologi e un anno dopo il ricorso del marito i servizi scrivono al Tribunale per chiedere il collocamento della figlia «in ambito eterofamiliare» ovvero in comunità. Secondo la relazione la madre vivrebbe una situazione «di forte emotività», con una situazione «di fragilità» in un momento di «profonda crisi personale». Per contro la bimba avrebbe mostrato «un’immagine di sé inadeguata», «un attaccamento non sicuro e disturbante» verso la figura materna, una «bambina scarsamente abituata ad attenzioni di un adulto». Lo scossone definitivo lo dà però una vicina di casa, che chiama il telefono azzurro per denunciare asseriti maltrattamenti sulla bimba da parte di una madre avvezza a consumare droga.

La falsa accusa

«Partiamo da qui - dice l’avvocato Davide Scazzoso, legale della madre - Il Tribunale dei minori ha tenuto in considerazione la delazione di una donna che aveva dissapori e contrasti con la mia assistita. Non solo, ma quando le analisi del Sert hanno dimostrato l’infondatezza delle accuse, la corte d’Appello non ha tenuto in alcuna considerazione questa circostanza e confermato il decreto» che ha dato il via a quello che viene definito «un progetto di affido etero familiare» per consentire alla madre di essere seguita «in un percorso di rafforzamento individuale e delle proprie competenze genitoriali».

«Si può togliere una figlia a una madre su questi presupposti?» è la domanda che avvocato e Giulia si pongono. «Nessuno ha mai detto che io ero pericolosa per mia figlia. Mi è stato detto che avrei dovuto affrontare le mie fragilità. Ma come posso, secondo loro, affrontarle se il mio unico pensiero e quello di mia figlia che vive in una comunità?».

La donna incontra la bambina tre volte al mese per un’ora appena ogni volta: «Facciamo merenda assieme. Le mi racconta della scuola, di cosa fa, ma la vedo spaventata, triste... la stanno obbligando a diventare adulta prima del tempo: le hanno tolto anche la gioia dei 10 minuti al giorno in braccio alla sua mamma. Pensano che strapparti una figlia possa servirti per lavorare su te stessa, ma è impossibile. Io mi sento sotto ricatto. E mi chiedo: per quanto tempo durerà ancora questo incubo?».

La chiosa finale è dell’avvocato: «Se davvero quelle difficoltà lamentate ci sono, anziché aiutare la madre hanno scelto la via più dolorosa e traumatica. Non può essere così facile togliere una figlia a una famiglia».

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