I due sposi in fuga da Kiev
Argen e Irina, l’abbraccio a Como

La ragazza è a Como da una settimana, il marito invece ha dovuto fare un viaggio più lungo e complesso

Como

Argen e Irina Aidasov , novelli sposi, sono scappati dai bombardamenti di Kiev e dopo un viaggio della speranza sono arrivati a Como dalla madre di lei, Natalia, ormai comasca acquisita visto che lavora da tanti anni in città.

Storie come queste si stanno moltiplicando, basta mettersi in coda fuori dalla Questura. Sono molti i cittadini ucraini profughi di guerra che denunciano il loro arrivo e firmano documenti e carte bollate.

«Io sono arrivata da mia madre in Italia – racconta Irina, 25 anni – la scorsa settimana, prima dell’accerchiamento Kiev. Mio padre e mio nonno invece hanno scelto di restare là, sono anziani e non sono stati chiamati al fronte, per ora stanno nascosti negli scantinati. Ma sono riservisti, non vogliono lasciare il Paese. Invece mio marito è potuto scappare pochi giorni dopo senza imbracciare le armi, perché anche se come me abita da sempre nella capitale ucraina è nato in Kirghizistan».

Argen, 28 anni, ha dovuto affrontare un viaggio molto più complicato: negli ultimi giorni treni e bus sono prioritariamente riservati alle donne con i bambini al seguito. Carrozze e mezzi sono stipati, le stazioni sono prese d’assalto. «Sono partito a piedi con il mio gatto nella gabbietta – racconta il giovane – poi sono riuscito a salire su un treno in corsa diretto verso la Polonia. Quindi, quasi al confine, ho trovato un mio connazionale del Kirghizistan che mi ha per fortuna ospitato. Intanto da Como Natalia e Irina mi hanno prenotato un bus per la Slovenia e, da Lubiana, usando Facebook ho trovato un passaggio».

I due giovani sposi lavoravano sulle navi da crociera inglesi e nei ristoranti italiani in Ucraina. Oggi non sanno immaginare il loro futuro, ma qui sperano di poter trovare un impiego, magari negli hotel lariani.

Non c’è bisogno solo del vitto e dell’alloggio, serve anche dare una speranza, una prospettiva di vita a chi ha lasciato tutto e che si è messa in fuga per cercare di evitare i bombardamenti.

L’altra grande necessità delle due donne è portare a Como la figlia più piccola, la sorella di Irina, che ha 11 anni e al momento è al sicuro dalla nonna a Nizza, dove lavora lo zio. «È spaventata, non vuole più uscire di casa – racconta Natalia Dykusha , 49 anni – è stata traumatizzata dalle bombe. Anche lei come mia figlia Irina era a Kiev a fine febbraio. Poi è partita con mio fratello, adesso non appena si rasserena un po’ la situazione ci riuniremo tutti qui a Como».

La maggior parte dei rifugiati arrivati per il momento a Como è stata accolta da privati, sono giunti qui per dei legami di parentela, il tramite spesso sono le donne ucraine da anni residenti sul lago.

Per ora, spiegano dalla Caritas, la macchina dell’accoglienza non gestisce direttamente il flusso degli arrivi, ma al massimo supporta la comunità, madri e zie che per prime hanno aperto le porte di casa.

A tal proposito diverse donne ucraine lamentano difficoltà nell’espletare le pur doverose pratiche burocratiche. Anche per le vaccinazioni anti Covid agli extracomunitari viene chiesto un codice Stp (straniero temporaneamente presente) non facile da ottenere, c’è un numero verde da contattare, ma gli operatori parlano in italiano e la comunicazione diventa complicata.

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