Cronaca / Como città
Domenica 16 Settembre 2018
I gruppi cattolici al Governo
«Salvate il centro profughi»
Dalla Caritas all’Azione Cattolica: «Via Regina può ancora servire» - La replica del vicesindaco: «Non ci sono più i presupposti dell’emergenza»
Le associazioni cattoliche comasche prendono posizione contro la chiusura del centro di prima accoglienza di via Regina Teodolinda, preannunciata nei giorni scorsi dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Nicola Molteni.
In un documento diffuso ieri - e “firmato” da Caritas, Ufficio Migrantes, Centro missionario diocesano, Azione Cattolica, Opera don Guanella, missionari Saveriani di Tavernerio e padri Comboniani di Rebbio, Acli, Forum comasco delle associazioni familiari, Cif provinciale, Eskenosen, Masci, Movimento Focolari - si legge che «il Centro è stato e può essere una risorsa per il territorio, pur conservando la sua temporaneità, poiché le “esigenze di interesse pubblico” continuano a sussistere». I toni sono garbati ma fermi e anche un po’ “piccati”: «Riteniamo ipocrita - si legge - sfruttare le competenze di cittadini, associazioni e volontari quando serve, per poi ignorarli e non interpellarli e non ascoltarli prima di operare scelte che intaccano la vivibilità della stessa città».
«Più volte, in questi soli due anni di apertura, abbiamo visto modificare il fenomeno migratorio e le sue esigenze. Il campo stesso ha mutato impostazione e quindi abbiamo suggerito, come facciamo ora, che possa restare e diventare risposta a tante altre forme di povertà presenti in città, legate al fenomeno migratorio e non solo, e per le quali le istituzioni stanno sempre più delegando al solo terzo settore la gestione ordinaria e straordinaria. Si potrebbero così alleggerire i servizi alle fragilità che, grazie alla dedizione di operatori e volontari, affrontano ritmi e numeri talvolta insostenibili. Eppure non hanno mai fatto mancare assistenza a chiunque si sia presentato a chiedere un aiuto, anche su richiesta delle istituzioni, avendo a cuore le persone, non le provenienze...». E ancora: «La cattiva erba del sospetto e del rancore fa credere che per risolvere i problemi si debbano estirpare chissà quali bubboni, senza curarne le reali cause. Il più pericoloso, il primo da incidere, era il campo Cappelletti... E dopo? Crediamo che sia piuttosto da sanare una cultura di rabbia e diffidenza, di indifferenza verso le condizioni di vita di tanti fratelli, in tante parti del mondo, sfruttati e scartati per giustificare i nostri stili di vita e la nostra ricchezza. Non vorremmo ritrovare questo malessere anche in chi ha deciso di dedicare il proprio tempo al governo della città, alla vita politica o al funzionamento delle istituzioni dello Stato, e così vanificare le collaborazioni fin qui maturate. Noi firmatari chiediamo che il campo continui a svolgere il suo servizio e che sia sempre desta l’attenzione a tutti i bisogni della città e di chi la vive».
L’onorevole Molteni ha declinato ieri l’invito a replicare, ma la posizione del governo è nota: il centro di via Regina nacque per affrontare l’emergenza di due anni fa, quando ai giardini di San Giovanni stazionavano decine e decine di migranti, e nacque come centro di primissima accoglienza salvo poi, nel tempo, modificare la sua “ragione sociale” trasformandosi in una sorta di centro di permanenza in cui - per dire - oggi è accolto un numero importante di cittadini pakistani già titolare di un permesso di soggiorno. In altre parole, per restare alla posizione del Governo, non si capisce quali ragioni dovrebbero giustificare il rinnovo della concessione in scadenza il 31 dicembre. Sullo sfondo, il report con cui la Corte dei Conti fotografa i bilanci dell’accoglienza, costata nel 2016 1,7 miliardi di euro per 2.332 strutture nel contesto di una gestione non sempre razionale (il contributo dell’Unione europea alla spesa per l’accoglienza in Italia vale il 2,7% del totale: 38,7 milioni di euro).
Così il vicesindaco Alessandra Locatelli: «La questione è semplice: quello di via Regina era, ed è un centro temporaneo. Oggi non sussistono più i presupposti di quell’emergenza che ne determinò l’apertura... Gli sbarchi sono ai minimi storici, i respingimenti dalla Svizzera anche. Non ha più senso che resti aperto».
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