I l dramma di un papà
«Mia figlia, finita
in mano a una gang»

A 15 anni irretita da un gruppo di pregiudicati. La Procura dei minori manda la ragazza in una comunità

Le occhiaie che segnano il volto di questo papà sono cicatrici di dolore. Una sofferenza accumulata negli ultimi cinque mesi, da quando la figlia è finita nelle mani di una banda di pregiudicati. Irretita e attirata nella loro rete con la scusa dell’amore. «Eravamo la famiglia del Mulino Bianco» attacca a raccontare l’uomo, cinquantenne comasco, un padre innamorato della figlia come migliaia di tanti altri. «Poi, all’improvviso, il mondo ci è crollato addosso da un momento all’altro».

L’inizio dell’incubo

In tempi di baby gang e di ragazzini travolti da reati più grossi di loro, la storia di Giulia (per tutelarne l’identità useremo un nome di fantasia e ometteremo diversi particolari su di lei e la sua famiglia) è un grido d’allarme per tutti i genitori. Lei - quando tutto è cominciato - è la classica quindicenne, divisa tra scuola, amici, sogni da adolescente. E, ovviamente, in cerca dell’amore.

«Tutto ha avuto inizio a ottobre» racconta il padre, che nei giorni scorsi ha inviato in redazione un’accorata lettera d’amore per la figlia (stralci della lettera li pubblichiamo del grafico qui accanto). «Da qualche tempo aveva cominciato a uscire, una volta la settimana, la sera. Per incontrarsi con gli amici». Ed è durante queste uscite che incontrerà i componenti della gang (molti dei quali pregiudicati, alcuni coetanei di Giulia, altri ragazzi con anche dieci anni più di lei). «Ci dice: “ho conosciuto dei nuovi amici. Sono molto simpatici”». Sembra felice. Ma è l’inizio dell’incubo.

«Un giorno, all’uscita della scuola, chiama per dire: “sto tornando a casa”. Poi è sparita. Noi tentiamo di ricontattarla, ma lei non risponde. Salvo presentarsi a casa nel tardo pomeriggio». Gli adolescenti sanno come abbindolare i genitori. E alle pressanti domande di mamma e papà, Giulia risponde vaga, racconta di aver visto i suoi nuovi amici, inventa storie. La scomparsa pomeridiana avviene ancora. Fino a diventare quasi un’abitudine.

«Poi le cose peggiorano - continua il papà - Un giorno non torna neppure a cena. E noi a chiamarla e lei a non rispondere. Pensavamo di impazzire. Poi, il mattino dopo, telefona: “Mi vieni a prendere?”». I genitori tentano di imporre qualche regola, limitano le uscite, ma è tutto inutile. Giulia continua a scomparire. E lo fa sempre più spesso.

«Ho iniziato a rivolgermi ai carabinieri - prosegue il padre - E per fortuna ho sempre trovato persone bravissime e molto sensibili. Che ci hanno aiutato tanto». Grazie ai carabinieri il padre ricostruisce i giri della figlia. E scopre, così, che le sue frequentazioni sono tutto tranne che rassicuranti.

«Il primo a mettermi sull’avviso - prosegue l’uomo, mentre passa la mano sul volto come per cancellare le occhiaie e, con loro, l’incubo di questi mesi - è stato don Giusto» il parroco di Rebbio. Una sera d’autunno la figlia, con i nuovi “amici”, è infatti protagonista di un raid vandalico contro i locali della parrocchia. I carabinieri confermeranno: nel gruppo con cui Giulia passa ormai la maggior parte del suo tempo ci sono persone con precedenti per spaccio di droga. E in cosa possono aver trascinato lei, famiglia e inquirenti sta ancora cercando di capirlo.

«Lei inizia a farci discorsi strani. Ci dice che loro, gli amici, sì che la capiscono. Non come noi. È con loro, dice, che si trova come in famiglia. Non con noi».

La Procura dei minori

Non si contano neppure le notti tra novembre e febbraio che questo padre è costretto a trascorrere in giro per strade, piazze e vicoli bui a cercare la figlia. «Ormai i carabinieri mi conoscono tutti. Hanno cercato con me, mi hanno sempre aiutato». Ma, inevitabilmente, nel frattempo hanno anche cominciato ad approfondire il caso. E a segnalare ogni nuova denuncia alla Procura dei minori.

«Mi sono rivolto ai servizi sociali. Mia figlia ha anche incontrato più volte un educatore» ma è tutto inutile. Ogni volta che sembra finito, l’incubo riprende. Più doloroso di prima. «Ho paura di scoprire quello che le è successo in questi mesi. Cosa possono averla indotta e costretto a fare». Meno di un mese fa la Procura dei minori decide di intervenire. Ed emette un provvedimento con cui affida la ragazza - che nel frattempo è diventata sedicenne - a una comunità protetta, lontana da Como. «Per tre settimane non l’abbiamo più sentita. Da qualche giorno, finalmente, ha avuto il permesso di chiamarci. Anche questo, per noi, è stato un dolore indescrivibile. Ma, se possono aiutarla, allora ben venga. La mia lettera al giornale? Avevo bisogno di far sapere a mia figlia che non l’abbiamo abbandonata. E che il nostro amore per lei non è cambiato».

© RIPRODUZIONE RISERVATA