Il ricordo delle guide alpine lombarde
«Mario era un alpinista esperto»

Le guide alpine della Lombardia sulla tragedia costata la vita all’alpinista comasco e alla moglie bulgara, oltre ad altre quattro persone.

Mario Castiglioni, la guida alpina comasca di 59 anni morta in Svizzera insieme ad altre 5 persone (tra cui la moglie Kalyna Damyanova) fra Chamonix e Zermatt era esperto come la sua clientela. Così spiegano in un comunicato le guide alpine della Lombardia che parlano di “tragedia”.

«Tutti i nostri pensieri - hanno scritto una nota - sono rivolti alle famiglie e ai parenti delle vittime; vogliamo mostrare loro il nostro pieno sostegno e solidarietà, e facciamo del nostro meglio per assisterli e per aiutare a chiarire le circostanze di questa tragedia».

Castiglioni era Guida alpina dal 1992, iscritta al Collegio regionale Guide alpine Lombardia. «Era un alpinista di grande esperienza e vantava un lungo curriculum internazionale.

Castiglioni aveva salito tre ottomila: il Manaslu, lo Shisha Pangma e il Cho Oyu, e delle Seven Summit il Denali, l’Aconcagua, l’Elbrus e il Kilimanjaro. Aveva scalato inoltre il Fitz Roy, il Cerro Torre, l’Aguja Guillaumet, El Capitan, Half Dome, l’Ama Dablam, l’Alpamayo e il Mont Kenya, per citare solo alcune delle vette da lui raggiunte». «Esercitava la professione di Guida alpina a tempo pieno. Con la sua agenzia - sottolineano - organizzava spedizioni e viaggi alpinistici in Italia e in tutto il mondo, spesso di alto livello, tanto che la sua clientela era frequentemente composta da alpinisti preparati, abituati ad andare in montagna, esperti a loro volta. La Haute Route Chamonix Zermatt era un itinerario ben noto a Castiglioni, una traversata classica che aveva percorso tante volte nella vita».

Mario Castiglioni, conosciutissimo a Como oltre che nel mondo degli appassionati di sci, alpinismo e di sport in genere, era anche il fondatore di un marchio storico, il celeberrimo “Montagna sport”. Il primo negozio aprì in via Monte Grappa, poi via Ciceri, infine in via Regina Teodolinda, dove si chiuse la parabola di quella lunga avventura imprenditoriale.

Sposato tre volte, padre di tre figli, Castiglioni non aveva mai rinunciato alla sua passione per la montagna. Dopo la chiusura dell’ultimo negozio, si era trasferito in Valle d’Aosta, a lavorare come guida alpina e a organizzare i suoi viaggi all’insegna dello sport - sci, alpinismo, mountain bike - quindi era tornato a queste latitudini, scegliendo però di trasferirsi oltre confine, in Ticino. Qui aveva avviato una collaborazione con il marchio Salomon a Mendrisio, al popolarissimo Foxtown, salvo poi fondare una società - la “Mlg mountain guide sa” - insieme a un socio con cui aveva aperto anche una sede in corso San Gottardo, a Chiasso. “Core business”, il solito di sempre, le escursioni, l’alta quota.

I clienti, a quanto pare, non mancavano. Su e giù per le Alpi, d’estate e d’inverno, lungo percorsi che conosceva alla perfezione e dei quali si fidava. Come quell’alta via tra il Bianco e il Cervino che l’altra notte lo ha tradito.

Nell’incidente nella zona della Pigna d’Arolla, a oltre 3.000 metri lungo il percorso della Haute Route, un itinerario scialpinistico molto frequentato che collega Chamonix con Zermatt. Delle 14 persone (divise in due gruppi di 10 e 4) che domenica mattina erano partite dal rifugio Des Dix, 6 sono morte e quattro sono ancora ricoverate in gravi condizioni. Cinque delle vittime sono italiane, ma di una ancora non è stata diffusa l’identità dalle autorità svizzere: oltre a Castiglioni e alla moglie, tre amici bolzanini esperti di montagna, l’insegnante 47enne Elisabetta Pa anni, olucci e la coppia Marcello Alberti e Gabriella Bernardi, entrambi di 53 anni, lui noto commercialista lei responsabile delle risorse umane alla Thun.

Ancora non è del tutto chiara la dinamica della tragedia e le autorità svizzere non hanno ancora confermato la prima ipotesi, vale a dire che il gruppo sia stato colto da un’improvvisa bufera di neve e vento - con temperature scese nella notte a -5 e con le raffiche che soffiavano a 80 km/h - che ha ridotto a zero la visibilità e sia rimasto bloccato a poco meno di 500 metri dalla salvezza. Uno dei partecipanti all’escursione, Tommaso Piccoli, appena dimesso dall’ospedale ha raccontato di essere «sopravvissuto grazie all’esperienza» spiegando di esser riuscito a rimaner sveglio tutta la notte facendo ginnastica, parlando e spronando gli altri. «Quando ha albeggiato - ha spiegato il padre dell’uomo - Tommaso e un’escursionista tedesca hanno visto dall’altro lato della vallata, dove c’è il rifugio, due sciatori e hanno iniziato ad urlare con quanta voce ancora avevano in gola.

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