Il ricordo di Ponte Chiasso
«Don Renzo sapeva
come aiutare i migranti»

Pochi metri ed è Svizzera. Si sono infrante qui ondate di profughi, non da oggi. Una volta c’era un parroco a Ponte Chiasso, si chiamava don Renzo Beretta, domenica saranno 20 anni dalla sua morte: ucciso sul sagrato della sua chiesa da una persona che aveva accolto, uno straniero sbandato.

Erano volate critiche, qualche maldicenza, tutto dimenticato. Solido come roccia è rimasto solo il suo esempio. Mercoledì chi lo ha conosciuto ha potuto raccontare di lui in una delle serate organizzate nella sua chiesa. C’erano duecento persone, molti i giovani che non erano ancora nati quando lui cadeva. «Sveglia!» ha detto in chiusura Italo Nessi: quell’emergenza che don Renzo Beretta aveva riconosciuto e a cui aveva dato risposta, c’è ancora, c’è di più. Non ha perso occasione per dirlo anche don Giusto Della Valle, il parroco di Rebbio e delegato diocesano Migrantes.

«Sarebbe opportuno creare un punto di prima accoglienza qui a Ponte Chiasso, luogo di transito» ha proposto, instancabile nell’invitare a calare nel concreto quella parola, “carità”, ascoltata molto, troppo e archiviata come idea romantica finché non si incarna in persone come don Renzo Beretta, che girava con il secchio in mano attorno alla chiesa perché i servizi igienici erano chiusi e la gente era tanta; che ammassava i materassi in sacrestia; che rispondeva ai parrocchiani insofferenti per lo sporco “meglio quello che far soffrire la fame a chi ha bisogno”; che di carità c’è morto.

Questa sera alle 20.45 a Ponte Chiasso la “Via Crucis” e domenica alle 17.30, messa di suffragio con il vescovo Oscar Cantoni. Nello stesso giorno, alle 10.30, la comunità di Ponte Chiasso celebrerà la messa al cimitero di Monte Olimpino di fronte alla tomba di don Renzo.

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