Cronaca / Como città
Lunedì 29 Marzo 2021
Il sibilo del Covid
«Questo virus lascia le cicatrici»
Viaggio nel reparto di Malattie infettive. Il primario: «Speravo di non vedere un’altra pandemia. Come con l’Aids, questa malattia lascia i malati soli»
Il maledetto virus è un sibilo continuo. Un nemico invisibile, certo, ma di certo non silenzioso. Basterebbe entrare in una stanza del reparto di malattia infettive del Sant’Anna, o di qualunque altra corsia trasformata in area Covid, dove i pazienti sono costretti a indossare caschi trasparenti di plastica per poter respirare, per rendersene conto. Quel sibilo di entra nelle orecchie e, per quanto sia sinonimo di salvezza, ormai per migliaia di pazienti comaschi passati per una stanza d’ospedale è sinonimo di paura.
La solitudine dei pazienti
I corridoi di malattie infettive, oltre a una sbarratissima porta gialla al terzo piano del Sant’Anna, per quanto paradossale possa sembrare sono tra i più sicuri dell’ospedale: «Qui - spiega il primario, Luigi Pusterla - tutte le stanze sono a pressione negativa, questo significa che il virus non resta in sospensione nell’aria ma viene abbattuto verso terra. Inoltre ogni stanza ha un’anticamera che consente il passaggio in sicurezza tra zona sporca e zona pulita». Un vantaggio per molto, ma non per tutto: «Questo virus - prosegue il primario - causa l’isolamento. E proprio questa idea di essere isolato da tutto e da tutti, è una delle difficoltà maggiori da superare per i nostri pazienti».
«La solitudine - commenta la dottoressa Alessia Petrolo - colpisce e una un ruolo importantissimo. Oltre a tutto il resto per noi è importante farci carico anche di questo aspetto, nel rapporto con i nostro malati».
C’è chi indossa la maschera dell’ossigeno, che è in fase di guarigione e attende che il tampone finalmente si negativizzi, e poi c’è chi è costretto a trascorrere quasi tutto il giorno con la c-pap, ovvero il casco per l’ossigeno, ultima tappa per evitare il rischio di finire in rianimazione intubati.
«Io - racconta il dottor Pusterla - ho un carissimo amico che si è malato di Covid. Ha anche fatto un periodo in terapia intensiva. Ecco, ancora oggi mi racconta è come avere un buco nella propria vita, non sai se ti sveglierai e come ti sveglierai. E molti, anche dopo la guarigioni, si portano in giro una vera e propria cicatrice nei polmoni». Il primario non ha alcun dubbio: «Abbiamo soltanto una via d’uscita e sono i vaccini. Bisogna arrivare a vaccinare 24 ore al giorno per sette giorni la settimana. Che non vuol dire non aver più a che fare con il Covid, ma limitarlo a pochi casi. Arginarlo».
A chi si dice dubbioso o scettico dei vaccini, Luigi Pusterla risponde cercando la via della logica: «Se sali a bordo di un aereo ti devi fidare del pilota, per forza. E di tutti quelli che hanno costruito l’aereo e lo hanno controllato e fatto la manutenzione. Per il vaccino è lo stesso: bisogna avere fiducia. Ma è la nostra sola via d’uscita».
Rispetto alla prima ondata, molto è cambiato: «Lo conosciamo meglio, lo prendiamo prima. Nella prima ondata le persone erano invitate a non venire in ospedale fino a quando ormai era troppo tardi, ora si interviene precocemente e con maggiore efficacia» e questo diminuisce la mortalità. Ma c’è anche un’altra grande differenza: la stanchezza.
Seconda pandemia in 40 anni
«Noi ormai siamo nei premi da metà agosto - spiega il primario - Vuol dire che siamo sul pezzo da sette mesi. Ho una fortuna: di essere circondato da collaboratori resilienti e da un gruppo eccezionale» e mentre lo dice sembra che gli occhi, al di sopra della mascherina, si velino di un pallido rossore di commozione.
«Lo confesso - dice ancora il medico - speravo di andare in pensione senza dover vedere un’altra pandemia». Il riferimento è all’Aids: Luigi Pusterla era un giovane medico allora. «Proprio come quarant’anni fa (il primo caso di hiv risale al 1981 ndr) l’aspetto più disumano della malattia è che i malati siano soli con la loro sofferenza. E che i famigliari siano costretti ad attendere notizie senza poter stare con i propri cari».
Assunto ai tempi dell’hiv, verso la pensione nell’epoca del Covid: «Purtroppo le malattie infettive ci sono da sempre e ci saranno per sempre. Ma davvero avrei preferito non viverla un’altra pandemia, a distanza di così poco tempo».
Oltre la doppia porta gialla di una delle stanze di degenza, intanto, il sibilo non conosce tregua. Proprio come il virus.
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