Cronaca / Como città
Mercoledì 20 Maggio 2020
In un’agenda fitta di nomi
il libro mastro dei corruttori
Da un sequestro a casa del funzionario del fisco l’elenco dei “beneficiari” dei servizi e delle cifre di volta in volta versate
Quattro paginette compilate fronte e retro con precisione burocratica: nomi, cognomi, indirizzi, somme versate. È in questa piccola agenda ritrovata a casa di Stefano La Verde, ex capo team dell’ufficio legale dell’Agenzia delle Entrate di Como, che la scorsa estate, subito dopo gli arresti di Antonio Pennestrì e del figlio Stefano, la Procura raccolse gli elementi che le consentirono poi di dare nuovo slancio a quel primo troncone di inchiesta.
Del fatto che La Verde avesse iniziato a parlare, del fatto che anche nel suo pc fossero stati rinvenuti dati per così dire “sensibili”, in città s’è favoleggiato per mesi - almeno fino al giorno della sua condanna a 4 anni e 8 mesi di detenzione, lo scorso autunno -, in un clima di guardinga apprensione. Chi sarebbe stato il prossimo?
Del resto lo ha ribadito ieri lo stesso Pasquale Addesso, il pubblico ministero titolare dell’indagine: «Il quadro è allarmante - ha detto -, perché è esistita ed esiste, su questo territorio, una domanda di evasione che in questo sistema ha ritrovato una risposta».
Con il rinvenimento dell’agenda di La Verde si ha per la prima volta conferma del fatto che il servizio di “accomodamento” delle cartelle esattoriali fosse tutt’altro che un’esclusiva di Pennestrì e dei suoi collaboratori e che, anzi, vi era (vi è?) una rete, per dirla ancora con Addesso, «una pluralità di studi» attrezzati per offrire questo tipo di prestazione.
Lo scrive anche il Gip Maria Luisa Lo Gatto, evidenziando - nell’ordinanza che dispone le misure - come sia La Verde sia il suo ex direttore Roberto Leoni (già condannato a quattro anni) e con loro Roberto Colombo (quest’ultimo in carcere da ieri mattina) fossero rimasti «per anni stabilmente a disposizione di molti professionisti del circondario comasco», e per il tramite loro anche di un numero imprecisato di clienti, tra negozianti, piccoli imprenditori, artigiani, industriali.
Né sarà un caso che lo stesso La Verde, intercettato in carcere poche ore dopo il suo arresto a giugno e ben prima di risolversi a scegliere la strada della collaborazione - e quindi accettando di vuotare il sacco - ne parlasse a sua sorella con tanta apprensione: «La situazione è grave... Io non esco, è la fine, io so’ rovinato - le dicve -... Adesso quello che è uscito fuori è poco, quello che è uscito fuori adesso. Mo’ uscirà il più grosso». Il più grosso sono, appunto, gli altri nomi e gli altri cognomi, le ditte e le persone fisiche che da quel sistema trassero vantaggi fiscali ed economici.
Chi non è citato in quelle quattro pagine compare altrove, nel pc, oppure in una pen drive. Non solo: quegli stessi supporti informatici, accanto alle somme di volta in volta versate dai “clienti”, contengono anche molte bozze dei ricorsi depositati in Commissione tributaria, o delle memorie che era sempre lo stesso La Verde a redigere, salvo poi - spesso - presentarsi lui stesso in udienza quale funzionario dell’Agenzia delle Entrate.
L’esito era quello di un annullamento della cartella in autotutela o, se andava meno bene ma sempre benino, di un robusto ridimensionamento delle pretese.
Così, per dire, una proposta di mediazione poteva comportare una riduzione della richiesta erariale da 22mila a 700 euro. Poco più che una contravvenzione stradale.
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