Cronaca / Como città
Lunedì 15 Novembre 2021
L’ex direttore del carcere
«Rivoglio gli immobili
sequestrati a Como»
Finisce alla Corte dei conti il caso dell’ex direttore dell’Asinara, che ha casa in città. Condannato negli anni ’80 per corruzione, gli sequestrarono i beni. Ma lo Stato se li è dimenticati
Lo chiamavano il “vicerè dell’Asinara”. E il carcere che dirigeva era invece noto come “la Caienna del Mediterraneo”. Il suo nome fu associato a uno dei regimi carcerari più duri e - per molti - disumani della storia recente d’Italia, ma anche a un processo e a una condanna per corruzione e truffa: erano gli anni dello scandalo delle carceri d’oro. Ora un ricorso alla Corte dei conti ripesca dagli archivi del passato la figura di Luigi Cardullo, che dopo le inchieste, gli arresti e le condanne si ritirò a Como per dimenticare e farsi dimenticare. In città di lui si occuperà per anni quasi esclusivamente la sede Inpdap (l’allora Istituto Nazionale di Previdenza e assistenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica, chiamato a trattenergli parte della pensione) e la Conservatoria dei Registri immobiliari.
Il ricorso contabile
La vicenda che fa tornare d’attualità una storia ormai dimenticata è il ricorso intentato dallo stesso Cardullo alla Corte dei conti della Sardegna.
A metà degli anni Ottanta, in seguito all’accusa di truffa e corruzione, l’ex direttore dell’Asinara fu condannato a restituire oltre 500 milioni delle vecchie lire (oltre 250mila euro) all’erario. Quindi la giustizia contabile decise di procedere al sequestro conservativo di una serie di immobili, tra i quali un paio detenuti in città, a Monte Olimpino per la precisione. Da allora quei beni risultano sotto sequestro, di fatto inalienabili, e si trovano congelati perché lo Stato voleva la garanzia di ottenere il pagamento di quanto richiesto da un suo dipendente che si era macchiato di reati contro la pubblica amministrazione per arricchimento personale.
Nei mesi scorsi l’avvocato di Cardullo ha presentato un ricorso per chiedere la cancellazione del sequestro conservativo. Il motivo è in parte di sostanza e in parte tecnico. La parte sostanziale - sulla quale però la Procura presso la Corte dei conti ha avuto da ridire - riguarda l’asserito esaurimento del debito con lo stato. La parte tecnica tira in ballo una dimenticanza da parte dello Stato. Pare infatti che nei 36 anni trascorsi tra la registrazione del sequestro conservativo e oggi nessuno abbia mai più rinnovato la trascrizione. Secondo l’avvocato di Cardullo se dopo vent’anni ciò non viene fatto, decade. Con la conseguenza che gli immobili tornano a chi li deteneva, senza più oneri.
Alla fine della controversia, i giudici contabili sardi hanno deciso che non era loro compito decidere. E la causa è stata trasmessa al Tribunale ordinario, i cui tempi notoriamente non sono particolarmente celeri.
La storia dell’ex direttore
Comunque vada a finire, la vicenda ha riesumato un pezzo di storia non propriamente edificante del nostro Paese. Nei cinque anni di direzione del supercarcere di Fornelli all’Asinara, dov’era rinchiuso il gruppo storico dei fondatori delle Brigate Rosse, Cardullo viene additato per i presunti metodi illegali di detenzione adottati. Dopotutto era un convinto fautore delle maniere forti (arrivò a ordinare di far fuoco contro la barca di un turista svizzero, colpevole di essersi avvicinato troppo al carcere).
L’inizio della fine del “vicerè” coincise con la rivolta dell’ottobre del ’79, quando nell’ala dei brigatisti del supercarcere si scatenò l’inferno. I detenuti riempirono le caffettiere moka di esplosivo C4 (che ricevevano con la tecnica del bacio alla visita dei parenti) e devastarono quell’area del Fornelli. Proprio i lavori di ristrutturazione, coordinati dal direttore, portarono all’accusa (e alla condanna) per i reati di corruzione e truffa aggravata. Dal canto suo Cardullo, al processo, disse che era a libro paga dei servizi segreti, che i soldi arrivavano dal Sisme che lo aveva incaricato di spiare i brigastisti.
Una storia ormai dimenticata. E tornata d’attualità per un sequestro vecchio di 36 anni.
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