«Niente lavoro da clown,
mio figlio giocava»

Parla il papà del “baby pagliaccio” a processo per sfruttamento dell’occupazione minorile

La magia del Circo, quella che con la sua poesia e le sue contraddizioni ha incantato il cinema di Fellini e Chaplin, è finita sul banco degli imputati nel Tribunale di Como.

Un giudice deve decidere se quel bambino di nove anni che si aggirava tra tendone e spazi attigui vestito da clown fosse un mini lavoratore sfruttato come si legge su un verbale dell’ispettorato del lavoro, o volesse soltanto emulare il papà, di professione circense, come suo nonno e suo padre, e clown da vent’anni.

Dovrà, il giudice, tirare una riga netta tra tradizione e legislazione decidendo se quel sorriso disegnato sul volto era lo specchio del suo animo, oppure nascondeva la tristezza di chi, magari, voleva essere altrove a giocare con gli amici a pallone.

Ardua sentenza, per rubare le parole di una penna di ben altra importanza, per salvare la poesia del circo o trasformala in un brutto episodio di cronaca.

«Mio figlio non stava lavorando per il Circo - racconta il clown - semplicemente in quel periodo era a casa da scuola, vacanza, e mi ha seguito sul lavoro. Si è vestito da clown come me, credo sia naturale che un figlio voglia emulare il proprio papà, ma non era in pista, era nel backstage e, soprattutto, non stava lavorando, lo ribadisco, non era previsto il suo impiego nello spettacolo».

La vicenda risale all’inverno del 2016 quando il Circo delle Stelle si è fermato in paese per una serie di spettacoli alla quale ha preso parte, come dipendente ci tiene a precisare, il padre del ragazzino.

Anche i carabinieri di Como e Varese intervenuti il 21 gennaio di due anni fa in aula hanno confermato che il bambino non era in pista, ma che è stato bloccato dagli stessi ispettori mentre stava per entrarvi con il padre, un uomo di 45 anni residente a Pistoia, ma di origini piemontesi.

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