Ovadia: «Tutte le culture
sono nate da migrazioni»

L’attore e drammaturgo alle Primavere di Como:

«Veniamo tutti dall’Africa, siamo tutti fratelli»

Buon compleanno grida il pubblico, Moni Ovadia ringrazia.

«Ricordo che ad ogni compleanno mio padre mi diceva: “è arrivato il momento che tu metta la testa a posto”». Risate dal teatro, tutto esaurito per il secondo appuntamento con le Primavere di Como che ha registrato le 1100 prenotazioni.

Oggi è il 70esimo compleanno di Moni Ovadia e l’attore e drammaturgo lo ha festeggiato con uno spettacolo di parole e musica in alternanza armonica, introdotto dallo struggente connubio di tango argentino e musica celtica proposto dal duo Keltango, nato dall’incontro di Fabius Constable e Irina Solinas, entrambi convinti sostenitori dell’importanza della contaminazione stilistica in ambito musicale.

Attore teatrale, drammaturgo, scrittore, compositore e cantante italiano, nato in Bulgaria e di ascendenza ebraica sefardita, Moni Ovadia è egli stesso un’espressione della commistione di culture che ci pervade. Il suo spettacolo è stato accompagnato dalla vivacità della fisarmonica di Denio nMarenco e del violino di Maurizio Dehò, suoni e contaminazioni dall’est.

L’assunto di partenza è: sì, siamo una società multietnica. È un dato di fatto, evidenza di esperienza.

«Noi tutti veniamo dal centro dell’Africa e siamo un solo uomo: l’uomo Sapiens sapiens africanus. Lo ha dimostrato Cavalli Sforza. Siamo tutti fratelli. E se non fossimo migrati saremmo ancora un gruppo di ominidi al centro dell’Africa». Tutte le culture che popolano la Terra sono nate dalle migrazioni. La prova è nella musica. «Perché la canzone napoletana commuove in ogni angolo del mondo? Il canto e la musica provano l’esistenza di uno statuto universale».

«Tutti i giovani si riconoscono in un ritmo che ha origine nel blues, che parla dell’anima di un popolo sofferente di schiavi, i neri portati in catene dall’ Africa, e quella musica, nel tempo e trasformata, è diventata paradigma di tutti i giovani del mondo. Frank Sinatra, the Voice, la voce dell’America, figlio dei migranti dall’Italia, diventa la voce del Paese che lo voleva emarginare. Vedete come è facile passare da una cultura all’altra?».

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