Pennestrì torna in carcere a 78 anni
«La norma non può essere vendicativa»

Il presidente della Camera penale critico per il ritorno in cella del commercialista. «Abbiamo un sistema normativo sproporzionato e sempre più incentrato sul populismo»

«Nel nostro sistema normativo stiamo assistendo all’abbandono di ogni forma di “pietas”». Il presidente della Camera Penale di Como e Lecco, l’avvocato Edoardo Pacia, è chiaramente sconcertato dall’automatismo introdotto dalla cosiddetta norma spazzacorrotti, che ha portato in carcere all’età di 78 anni l’ex commercialista comasco Antonio Pennestrì. La condanna per le tangenti all’Agenzia delle entrate è infatti passata in giudicato e così, a dispetto dell’età, è finito in cella per scontare la pena, così come il figlio Stefano Pennestrì.

Disparità di trattamento

«Stiamo diventando sempre più un sistema normativo incentrato sul populismo vendicativo a tutti i livelli - commenta l’avvocato Pacia - Non c’è più alcuna valutazione soggettiva, la cosa importante per il nostro legislatore è dare un segnale punitivo grave, anche se totalmente sproporzionato». In questo modo, spiega il presidente dei penalisti comaschi e lecchesi, «ci si dimentica la finalità rieducativa della pena, espressamente prevista dal nostro ordinamento».

Sotto accusa la norma spazzacorrotti, entrata in vigore nel gennaio dello scorso anno: «Parliamo di una norma che ha già dimostrato la sua debolezza con il pronunciamento della Corte costituzionale», che aveva bocciato la retroattività degli effetti sull’impossibilità di chiedere pene alternative al carcere.

«Questa norma - prosegue l’avvocato Edoardo Pacia - va a inserirsi in modo disorganico su altre fattispecie di reato più gravi. È stata calata in maniera violentissima dal legislatore imparentandola a decisamente più gravi, come i delitti commessi con finalità di terrorismo, eversione, oppure i sequestri di persona a scopo di estorsione. Sia chiaro: non voglio sottovalutare i reati contro la pubblica amministrazione, ma è chiaro che siamo su un piano diverso».

Una norma che, peraltro, introduce disparità di trattamento nei confronti di persone condannate per reati anche molto seri: «Ad esempio mentre per un condannato per reati di violenza sessuale dopo un anno di osservazione in carcere è prevista la possibilità di godere benefici e quindi uscire, questa opportunità non è nemmeno prevista per i reati contro la pubblica amministrazione. E non è prevista neppure per soggetti ormai depotenziati, anche dal punto di vista professionale, che non hanno certo la pericolosità sociale di altisonanti nomi mafiosi». E qui arriviamo al caso di Pennestrì.

La perdita della “pietas”

«È una disciplina populista, cieca e completamente ottusa - ribadisce Pacia - Il nostro ordinamento prevede espressamente la detenzione domiciliari per chi ha pene inferiori ai 4 anni, se supera i 60 anni, e sempre sopra i settanta»

A riprova dell’abbandono di ogni forma di “pietas”, l’avvocato comasco racconta: «Il nostro legislatore, di recente, ha introdotto una norma che prevede la cancellazione dei precedenti penali non più al compimento dell’ottantesimo anno come avveniva prima, ma solo quando una persona compie cent’anni. Uno deve quindi portarsi la condanna anche nella tomba. Sembra poca cosa, ma dà la dimensione di come ci sia questa volontà di punire sempre e comunque, perfino dopo la morte. E questo dimenticando un aspetto essenziale: la pena ha una funzione sociale-preventiva e rieducativa». Nel caso di Pennestrì «questo non avviene di certo».

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