Tre anni dopo l’omicidio di don Roberto Malgesini, Como non può dimenticare

Il ricordo Era il 15 settembre 2020, una mattina come tante, quando don Malgesini è stato ucciso in piazza San Rocco mentre si preparava a distribuire le colazioni alle persone senza fissa dimora

Tre anni sono un refolo di vento quando improvvisamente ci si accorge che sono passati. Lo stesso vento che, tre anni fa, soffiava lungo la via Milano mentre don Roberto Malgesini si preparava a distribuire le colazioni a chi, per strada, non avrebbe ricevuto altrimenti nemmeno un sorriso, figuriamoci una brioche. Il 15 settembre a Como non è una data qualsiasi, per molti la connessione è immediata e quel numero sul calendario ricorda con chiarezza la morte di un uomo che per la città e gli ultimi della città in particolare aveva dato tutto.

Ascolta "Scriveva fuori dai margini - Don Roberto Malgesini, un uomo felice" su Spreaker.Ascolta qui il podcast che La Provincia ha dedicato alla storia di don Roberto Malgesini

L’omicidio a San Rocco

Tre anni fa, mentre la Breva, il vento che soffia sul lago, si arrampicava su per le vie di Como, don Roberto Malgesini moriva, ucciso da un uomo cui il prete aveva sempre teso una mano al momento del bisogno. Il suo nome è Ridha Mahmoudi, lo stesso nome con cui proprio nel corso della terribile giornata del 15 settembre 2020, anzi subito dopo aver accoltellato don Malgesini, si è presentato alle forze dell’ordine, rivendicando l’omicidio, poi più volte rinnegato in fase processuale.

Don Roberto lo conosceva molto bene: Mahmoudi viveva in Italia da tempo, nonostante avesse ricevuto non uno ma due decreti di espulsione e don Malgesini lo aveva sempre aiutato a trovare una propria strada a Como. Anche quella mattina di tre anni fa sarebbe stato pronto a tendergli la mano quando il tunisino gli riferì di avere mal di denti. «Dopo il giro delle colazioni ti porto in ospedale», gli aveva risposto don Roberto, prima che l’uomo lo colpisse più volte alla schiena con un coltello comprato mesi prima, al supermercato. Uno di quelli che si usano per tagliare l’arrosto.

Mahmoudi pensava di essere vittima di un complotto di cui riteneva che anche don Roberto facesse parte, un subdolo piano ordito insieme alle forze dell’ordine e agli avvocati per rispedirlo in Tunisia. Un piano che non solo esisteva solo nella sua testa, ma che don Roberto Malgesini non sarebbe neppure mai stato in grado di concepire. Rendersene conto è semplice per chi lo ha conosciuto, ma è possibile anche per chi non ha mai avuto la fortuna di incrociare la sua strada. La sua testimonianza, infatti, resta viva attraverso le parole delle persone che lo hanno incontrato e hanno sposato il suo progetto molto spontaneo di carità, la sua idea di città che partiva proprio lì, dal punto in cui è morto: San Rocco. Il cuore pulsante e sofferente di Como, dove oggi campeggia il suo nome: largo don Roberto Malgesini.

La carità di don Roberto

Un’idea di città che dal quartiere dove don Roberto predicava la parola di Dio e la metteva in pratica mettendosi al servizio dei dimenticati della società - gli ultimi, i poveri, gli emarginati - prendeva vita tramite un grande progetto di convivenza. «La sua vita è stata spesa in un luogo e in un tempo in cui è anti economico e controproducente comportarsi come ha fatto lui, peraltro coinvolgendo molti giovani» ha detto Nello Scavo, giornalista comasco e inviato speciale di Avvenire, nell’ultima puntata di un podcast che La Provincia ha dedicato interamente alla vita di don Roberto, intitolato “Scriveva fuori dai margini”. Il podcast rientra nella serie “Storie nella Breva”, quelle storie che Como non può dimenticare e che vanno raccontate prima che il vento le porti via.

In questi sei episodi abbiamo provato a raccontare la sua storia, da quando era solo Robi e amava le montagne della Valtellina e i loro silenzi, al suo arrivo a San Rocco. Una storia che abbiamo voluto raccontare attraverso le voci di chi lo ha conosciuto, come Alagie, che quella mattina poco dopo le sette lo trovò riverso a terra mentre esalava gli ultimi respiri. Una storia che abbiamo ripercorso anche attraverso le registrazioni del processo tenutosi nel tribunale di Como a carico del suo assassino, in cui le voci intrise di nostalgia dei suoi volontari e dell’avvocato della famiglia Malgesini, Maurizio Passerini, si mescolano a quella di Ridha Mahmoudi. L’assassino di don Roberto, inizialmente condannato all’ergastolo, grazie a uno sconto di pena ottenuto con la sentenza di secondo grado per buona condotta uscirà dal carcere tra 15 anni.

Ma il suo gesto non ha cancellato e non può cancellare il ricordo che don Roberto ha impresso nella città di Como. Una città che non può permettersi di dimenticare e che sulle orme di don Malgesini è chiamata a mettersi in gioco come città di frontiera, luogo di partenze e di arrivi, come l’ha definita il cardinale Oscar Cantoni «diocesi dei martiri». Una città che sappia fare della solidarietà un valore, come insegnava, ogni giorno e in ogni gesto, don Roberto.

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