«Vi racconto Como e gli otto comuni che la compongono»

Una chiacchierata tra l’autore (Clemente Tajana) e il curatore (Pietro Berra) attorno al libro “Passeggiate comasche” in edicola con “La Provincia” fino al 2 luglio

Pensate di conoscere le torri del centro storico di Como? Allora, vediamo chi sa dove si trova la Torre Demorata. E la Torre degli Asini?

La lettura del libro “Passeggiate comasche” (edizioni New Press, 108 pagine) di Clemente Tajana, in edicola abbinato a “La Provincia” fino al 2 luglio al prezzo di 8,50 euro più il quotidiano, è ricca di sorprese per tutti. La guida di quello che è stato per tanti anni Ingegnere capo del Comune di Como, mediata attraverso un manualetto che in ventuno tappe ci porta quasi in ogni angolo della città, dal lungolago fino alle cosiddette “periferie”, è preziosa sia per chi frequenta il capoluogo lariano da poco, oppure superficialmente, sia per i comaschi appassionati ed esperti, che avranno l’occasione di guardare con un occhio ancora più consapevole le vie attraversate da una vita e i palazzi che fanno parte del loro orizzonte quotidiano. Un libro che stimola irresistibilmente a uscire di casa e a mettersi in cammino per scoprire infiniti tesori celati non soltanto nei monumenti canonici, ma anche in diverse abitazioni private e lungo le strade. La storia degli edifici e dei quartieri si mescola con quella delle donne e degli uomini li hanno creati, vissuti e frequentati e ne emerge un paesaggio culturale unico e interessantissimo.

Partiamo dal “gioco delle torri”. La maggior parte dei comaschi risponderebbe che nel centro storico ce ne sono tre. E invece...

Sì, di solito si pensa a quelle delle mura cittadine - Porta Torre, Torre Gattoni e Torre San Vitale - ma non è così, perché ci sono numerose torri anche a difesa di singoli edifici o di singole piazze. La Torre degli Asini è molto divertente perché si trova in pieno centro, all’angolo tra via Bernardino Luini e piazza San Fedele, e gli asini da cui prende il nome erano quelli che portavano il grano al mercato lì ubicato nel Medioevo, eppure quasi nessuno la nota. È riconoscibile come torre su via Luini, invece dal lato di piazza San Fedele è stata trasformata in una abitazione di stile vagamente barocchetto. Di conseguenza, attraversando la piazza non la si riconosce, ma appena si volta l’angolo sì. La Torre Demorata di via Vitani è una “casa torre” molto interessante, perché la famiglia dei Vitani la costruì con funzioni difensive in epoca medievale, riutilizzando, soprattutto al piano terra, i gradoni del teatro romano, che si trovava proprio di fronte, al civico 13, in corrispondenza della Casa Franchi, quella delle suore del Valduce. Insomma, chi costruì la torre si trovò con grandi pietre a disposizione: bastò smontare il teatro e spostarle di due metri per costruire la Demorata. Ma ci sono anche altre torri. Quella di via Ballarini, per esempio, viene chiamata la Torre dei Mercanti, perché proprio lì, in una traversa che ora non c’è più, aveva sede l’Università dei Mercanti. Questa torre di vede ancora molto bene ed è vicinissima al Duomo.

Il primo degli illustri predecessori che hanno dedicato guide di alto profilo culturale al territorio lariano, Paolo Giovio, descrive Como come una città a forma di gambero di fiume. Infatti, anche in “Passeggiate comasche”, dopo il corpo che corrisponde con la città murata, ci porti a scoprire le chele e la coda...

La definizione di “Urbs cancrina”, tradotta come “gambero di fiume” e non come “granchio”, è perfetta ancora oggi. Le due chele sono il Borgo Vico e Sant’Agostino e la coda è via Milano, San Rocco soprattutto, e termina nella ex chiesa di San Lazzaro, purtroppo oggi in pericolo di crollo.

Continuando a camminare arriviamo a quelle che noi oggi chiamiamo un po’ impropriamente “periferie”. Leggendo il tuo libro, scopriamo che ciascuna ha una storia e delle caratteristiche molto precise. Anche perché, nella maggior parte dei casi, si tratta di ex Comuni autonomi che sono stati aggregati a Como in tempo relativamente “recenti”. Quando si compì l’Unità d’Italia, nel 1861, la città era molto più piccola, non è vero?

Diciamo che nell’insieme erano otto Comuni: Como e altri sette contermini, che tutti insieme contavano una popolazione maggiore dello stesso Comune di Como. Possiamo anche elencarli. Nella zona sud c’erano Camerlata, Rebbio, Breccia e Albate, che erano molto popolosi, verso la Svizzera il Comune di Monte Olimpino e nella zona collinare a est della città Civiglio e Camnago. I primi ad essere annessi a Como furono Camerlata e Monte Olimpino, con regio decreto del 1884, per ragioni di gestione delle ferrovia, ovvero perché la linea Milano-Como che in precedenza si era fermata a Camerlata, era stata portata prima fino alla stazione di San Giovanni [inaugurata nel 1875, ndr], e poi con il tunnel di Monte Olimpino [1876] era diventata addirittura internazionale, superando il confine con la Svizzera. Poi nel 1937 venne aggregato Rebbio, perché lì c’era la famosa Maternità, che oggi è il liceo scientifico “Paolo Giovio”, quindi tutti i cittadini comaschi nascevano a Rebbio e ciò costituiva un problema anagrafico. Solo in tempo di guerra [con un regio decreto del 22 giugno 1943, ndr], sono stati uniti a Como i Comuni di Albate, Breccia, Civiglio e Camnago Volta. All’inizio le cosiddette “periferie” erano chiamate “Corpi santi”, poi divennero Comuni con Maria Teresa d’Austria, quindi furono inglobati.

Parliamo un attimo del titolo che abbiamo scelto per il tuo libro, “Passeggiate comasche”. Richiama volutamente le celebri “Passeggiate lariane” di Carlo Linati, che certamente è tra le tue letture, perché lo citi qua e là nel testo. Lui scrisse ti tutta la provincia di Como, tu, almeno in questo primo volume, solo della città capoluogo, ma speriamo che ne possano seguire altri. Ti fa piacere questo accostamento con Linati?

Moltissimo. Io ho avuto la fortuna di conoscere Linati di persona e anche sua moglie e la loro Villa delle Rose, che si trovava tra Camerlata e Rebbio dove ora c’è la Ca’ d’Industria nuova. Linati l’ho sempre apprezzato molto, in particolare per il suo amore per le pietre, che è capace di far parlare. Sottolinea spesso la tanta vita che c’è nelle pietre e a me questo concetto piace parecchio, perché sì, sono ingegnere, ma non è mia abitudine vedere le case come delle strutture vuote, bensì come la “casa dell’uomo”. Questa concezione dei luoghi e degli edifici che abitiamo è molto vicina a quella di Carlo Linati.

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