Viaggio in pronto soccorso
«Ora il problema
sono i casi sospetti»

La fase 2 nel reparto d’emergenza al Valduce

«Fino a due settimane fa, fuori c’era la coda di ambulanze. E qui era pieno di barelle». Gianluca Semeraro (“Sem” per i colleghi) di virus ne ha visti tanti: «Ho vissuto e lavorato un anno e mezzo in Amazzonia, nella Guyana francese - racconta - Di malattie ne giravano. Ma come questo coronavirus...». Ieri mattina era lui il medico di turno (assieme agli infermieri Gloria Pietrangeli e Davide Guerrisi) nel pronto soccorso Covid del Valduce.

A dividere il reparto d’emergenza dedicato ai possibili pazienti affetti dal maledetto virus e la zona “pulita”, con i malati - per così dire - tradizionali, una sottile e invalicabile linea rossa. Per passare dall’altra parte, prima, devi indossare guanti, tutona bianca, calzari alti, copricalzari bassi, mascherina ffp3, cuffia, cappuccio, casco e un secondo paio di guanti (che dopo un’ora di quel supplizio ti chiedi come facciano medici e infermieri e oss a resistere un turno intero saltando da un paziente all’altro). Nulla può passare oltre quella linea rossa senza essere sterilizzato. Neppure le cartelle cliniche dei pazienti: vengono fotografate e inviate via mail in reparto, gli originali finiscono in uno scatolone, vi rimarranno per il tempo necessario al virus di morire, quindi potranno essere riprese.

La riorganizzazione

La fase due in un pronto soccorso si traduce essenzialmente in un’unica vera criticità: «Riuscire a gestire tutti quei casi intermedi, potenzialmente positivi al Covid ma non necessariamente».

Sei, ieri mattina, i pazienti nell’area contagio. Di questi solo uno sicuramente affetto dal virus. Un uomo di 77 anni, proveniente da una Rsa, e portato al Valduce per un glaucoma. «La difficoltà di questa fase - conferma Anna Natalizi, direttore dell’unità di Osservazione breve intensiva del pronto soccorso - è legata a tutti quei casi potenzialmente Covid. In particolare ai tempi per i tamponi e al fatto che, purtroppo, questo esame è attendibile solo al 70%. Quindi, in presenza di sintomatologia, comunque noi dobbiamo trattare i pazienti come positivi». Senza però esporli al rischio contagio, nel caso non fossero affetti al virus. Sul tabellone dei pazienti nella metà “sporca” del reparto d’emergenza si segnano tutti i parametri legati al virus: ossigenazione, saturazione, tac polmonare, tampone.

La pandemia ha costretto il pronto soccorso a rubare spazi ad altre aree dell’ospedale: «Almeno fino alla fine dell’anno sarà così, dovremo far convivere la zona Covid con quella pulita» spiega Anna Natalizi.

«Nella fase uno - prosegue Gianluca Semeraro - la diagnosi era facile: erano tutti pazienti contagiati. Il problema vero erano i posti letto e il materiale. Abbiamo avuto anche più di venti pazienti contemporaneamente» in una zona dove stipare venti letti non è facile. «Fortunatamente quando l’emergenza è arrivata qui da noi, eravamo già pronti. È stato molto importante il confronto con i colleghi del pronto soccorso di Lodi. Questo ci ha permesso di predisporre il reparto nel migliore dei modi» prosegue ancora il medico, che è anche referente della qualità del pronto soccorso. «Noi, qui, eravamo abituati a gestire 2, 3 al massimo 4 pazienti in codice rosso in una giornata. Durante il mese e mezzo più caldo ne avevamo anche sette per turno».

Complessivamente dal pronto soccorso del Valduce sono passati 555 pazienti Covid conclamati o sospetti. Tra via Dante e Costa Masnaga sono stati gestiti 656 casi, 322 dei quali curati a domicilio con un contatto costante tra ospedale, medici di base e pazienti a casa.

I ricordi della fase uno

«Della fase critica? Ricordo soprattutto i volti - dice ancora il dottor Semeraro - I volti spaventati dei pazienti, quelli preoccupati e stanchi dei colleghi. E poi quelli dei pazienti a casa: quando parlavo con loro, al telefono, me li immaginavo con le loro ansie, le loro paure, il loro dolore. Ma ricordo anche i volti felici, quando riuscivamo a salvare qualcuno».

Gloria Pietrangeli, lei della fase uno si porta dietro un episodio in particolare: «Una videochiamata molto speciale di questo signore che voleva salutare le figlie e, non senza difficoltà, ci siamo riusciti. È stato davvero emozionante. Ma anch’io ricordo i volti e soprattutto gli sguardi: negli occhi di quei pazienti c’era scritto il mondo». Ora si è tornati a respirare, in tutti i sensi. Lunedì riapriranno anche la Pediatria e il Pronto soccorso pediatrico. «Ma non abbassiamo la guardia: stiamo a vedere cosa accadrà da qui alla fine del mese» vaticina Gianluca Semeraro. Anche se, spiega il direttore sanitario, Claudio Zanon, «il virus sembra meno aggressivo. Da due settimane non abbiamo più ricoverato nessuno in rianimazione per Covid».

E la vita, anche in pronto soccorso, può tornare alla normalità. Si fa per dire... suona il campanello, entra una paziente: fibrillazione atriale. L’emergenza non si ferma.

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