Carmen, voci da applauso
Fischiata la regia "realista"

Giù il sipario, con 14 minuti di applausi e una sonora disapprovazione nei confronti delle scelte di Emma Dante, sull'opera di Bizet che ha aperto la stagione del Teatro alla Scala nel giorno tradizionale di Sant'Ambrogio. Ecco la critica de "La Provincia".

di Giancarlo Arnaboldi

Turba, ma non sconvolge il debutto di Emma Dante nella regia d'opera al Teatro alla Scala. La sua è una «Carmen» carica di simboli, scabra e violenta, a tratti persino brutale (la zuffa fra le sigaraie del primo atto), ma meno provocatoria di quanto ci si sarebbe aspettati e di quanto si sarebbe potuto fare con un libretto d'opera (di Henri Meilhac e Ludovic Halévy) carico d'umori e potenzialmente trasgressivo. La figura di Carmen, così ben definita da Mérimée nella sua novella e da Bizet con la sua musica, è tratteggiata con mano sicura ed esperta, l'incontro-scontro fra i sessi sottolineato con la dovuta perizia, i movimenti delle masse organizzati con saggezza, ma chi si sarebbe aspettato qualcosa di scioccante e veramente eversivo è certo rimasto deluso.
Belle le invenzioni escogitate per movimentare la parata militare nel primo atto, con un uso dei “monelli” che è quanto più di antizeffirelliano si potesse fare. Singolare l'erotismo impregnato di venature esotiche della «Chanson bohème» e di tutta la scena nella taverna del secondo atto. Ma che c'entra, con il capolavoro di Bizet, quel bruttissimo letto (brutto in senso teatrale e scenografico) che troneggia durante la scena con Micaela nel terzo atto? E perché è così misera e ripetitiva la sfilata dei toreri nel finale, laddove la musica suggerisce (e pretende) uno sfarzo mediterraneo che la Dante, palermitana d'origine, deve ben conoscere?. In fondo, il merito maggiore della regia è quello di essere in perfetta sintonia con al direzione d'orchestra di Daniel Barenboim, ipnotica e drammatica, a tratti sospesa in appaganti oasi di lirismo (l'«Habanera», la «Romanza del fiore»), furente nel sottolineare lo scontro fisico dei protagonisti. Protagonisti che in Jonas Kaufmann (Don José) e Anita Rachvelishvili (Carmen) hanno trovato due interpreti credibili, vocalmente e visivamente quanto mai adatti al ruolo. Al tenore riesce anche la difficile prodezza di smorzare l'acuto conclusivo della sua romanza, a lui l'unico applauso, a scena aperta, della serata.
Hanno invece deluso Erwin Schrott, un Escamillo privo dell'ampleur e degli acuti indispensabili a un torero di tal fatta, e  Adriana Damato una Micaela troppo poco soave per essere un contraltare credibile alla stregonesca Carmen.

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