Cultura e Spettacoli
Lunedì 04 Gennaio 2010
Si ricompone il puzzle
della chiesa di S. Orsola
I nuovi restauri consentono di ricollocare frammenti di affreschi, datare opere e stili architettonici. Tra i ritrovamenti: tombe e frammenti di ceramiche.
Nascosta completamente all’esterno, sconosciuta anche a chi l’ha sempre frequentata, sta per essere recuperata col suo patrimonio secolare di affreschi la chiesa medievale di Sant’Orsola in Como. Pochi sanno che dietro la chiesa ben visibile in fondo a viale Lecco, all’attacco della salita per Brunate, una chiesa del Trecento è inglobata fra gli edifici dell’oratorio (ex monastero delle Umiliate) e della chiesa seicentesca, già recuperata nella sua valenza artistica venticinque anni fa.
Non è di poco conto dunque l’operazione culturale che la parrocchia di S. Orsola si è assunta da un paio d’anni, col nuovo parroco don Fausto Sangiani, e che si sta concludendo nella sua prima fase secondo il progetto dell’architetto Salvatore Mugnani e dei restauratori Leonardo Camporini e Ivana Lunardi, incaricati dal parroco emerito don Enrico Luppi.
Un grande vano completamente buio, disordinato ripostiglio, dove si ammassavano svariati oggetti, dove scale a pioli e vecchi carretti del mercato si appoggiavano alle pareti mettendo a rischio i superstiti lacerti di affreschi, è oggi uno spazio dove una luce diffusa filtra tra le doghe di una pseudo-volta che ricostruisce le proporzioni e la volumetria di un ambiente risanato. Da poco posato il nuovo pavimento in pietra grigia sopra le serpentine dell’impianto di riscaldamento, tutta l’attenzione è concentrata sulle pareti. Saggi di scavo archeologico condotti da Roberto Caimi hanno restituito solo qualche tomba, qualche frammento di ceramica e di affresco, ma nessun indizio di precedenti costruzioni. Pochi hanno avuto finora la possibilità di vedere quanto si sta realizzando, qualche gruppo di parrocchiani, qualche classe liceale, un gruppo della Stecca. E hanno visto poco. Poco perché il meglio di quanto promette il recupero andrà riposizionato nella seconda fase del restauro. Sono i numerosi strappi di affresco realizzati all’epoca del parroco don Antonio Clerici, negli anni ’60 del secolo scorso, da Torildo Conconi e dal suo allievo Camporini, divenuto l’esperto e sensibile restauratore cui oggi è affidato il compito del recupero. È anche grazie alla sua precisa memoria che si conosce l’esatta provenienza del gruppo di affreschi più antichi, della prima metà del Trecento. Provengono da un vano attiguo e parallelo, una navatella laterale, adiacente al chiostro. Dall’interno della facciata di quella navata o aula minore proviene l’affresco più affascinante e probabilmente più antico col "Giudizio Finale". Le tracce dell’intonaco rimasto a parete non lasciano dubbi: si riconosce la tipica "mandorla" che racchiude la grandiosa figura del Cristo Giudice, ma solo guardando l’affresco strappato si può ammirare l’assieparsi dei beati e degli angeli. La significatività del pezzo è confermata dalla sua pubblicazione sul volume "La pittura in Lombardia. Il Trecento" (Electa 1992) dove Daniele Pescarmona lo definisce di maniera «derivata dal patrimonio giottesco». Di alta suggestione e qualità artistica è il gruppo di un "Cristo morto tra Maria e Giovanni dolenti", di cui si conservano solo le teste. Sono poi ancora del XIV secolo una serie di santi di cui si è conservato solo il busto. Alcuni, come un paio di Santi vescovi, sono della stessa mano che dipinse gli affreschi oggi nella Pinacoteca di Como, provenienti da un altro monastero femminile comasco, quello di S. Margherita, definito "Secondo Maestro di S. Margherita" dalla specialista Carla Travi per distinguerlo dall’autore, pure anonimo, delle "Storie delle sante Liberata e Faustina". Quello che si sta valorizzando nella chiesa antica di S. Orsola è degno di un museo, ma, meglio ancora, non finirà in un museo, tornerà nel suo luogo d’origine. I restauratori hanno individuato la possibile collocazione di almeno tre altri significativi pezzi come un gruppo di santi del primo Cinquecento che formano una "Sacra Conversazione"> ritroverà sede sulla parete meridionale inserendosi in una bella cornice rinascimentale rimasta sulla parete, proprio sopra il vano del "torno" (riscoperto nel restauro e documentato negli atti delle visite pastorali) sul quale le monache posavano i paramenti che il sacerdote prendeva senza entrare in contatto con loro, costrette alla clausura.
Un’ "Adorazione di Gesù Bambino" con un santo papa inginocchiato vicino a Maria sembra coincidere con lo spazio dell’arco trionfale sotto il superstite S. Gerolamo in rossi abiti cardinalizi. Lì sull’angolo, nella parete nord, si conserva anche una grandiosa ed elegante figura gotico-cortese dell’Arcangelo Michele, militarescamente avvolto in una corazza, che pesa le anime prima di introdurle in paradiso.
Altri affreschi, se non furono distrutti, si potranno forse ritrovare oltre il muro che ha tamponato l’arco trionfale della chiesa: il vano del presbiterio, rivolto canonicamente a oriente, era impossibile che si recuperasse perché fu eliminata l’abside e furono costruiti ambienti ad uso civile dopo la soppressione napoleonica del monastero. In compenso alcune aperture nella parte alta della parete ricordano che le monache stavano in un matroneo senza entrare in contatto con i laici. Quando le nuove norme post-tridentine imposero loro di realizzare il coro dietro l’altare in una chiesa "interna", ma al piano terreno, abbandonarono questa chiesa per quella costruita nel primo Seicento (1609-1614) che si affaccia presso il passaggio a livello di viale Lecco e che divenne chiesa parrocchiale nel 1906. Qui trasferirono, facendone staccare la relativa porzione di muro, l’importante affresco del 1496 firmato da Andrea de’ Passeris per la famiglia Parravicini. Lo fecero non per l’opera d’arte, ma perchè l’immagine godeva di grande venerazione popolare: sappiamo che la "Madonna e il Bambino con S. Giovanni Evangelista" del pittore tornasco stavano in origine sulla spalla destra dell’arco trionfale, dove poi (già si era praticato un buco asportando il massello affrescato) si fece la nicchia che oggi si vede.
(* Professore di Storia dell’arte al liceo Volta e all’Università dell’Insubria)
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