Cultura e Spettacoli
Lunedì 04 Gennaio 2010
Il virtuale sbanca al cinema
Ma Second Life è un flop
Fino al 2008 eravamo "tutti pazzi" per lo spazio virtuale: c'era chi organizzava mostre, chi curava animali (virtuali), chi apriva negozi. Oggi chi ne parla più? Eppure al cinema il film "Avatar" di Cameron, che in Italia uscirà il 15 gennaio, va alla grande. In soli 17 giorni di programmazione negli Usa e in altri Stati ha incassato oltre 1 miliardo di dollari...
Steven Spielberg lo ha definito un capolavoro: «il film di fantascienza più bello che abbia mai visto dai tempi di Guerre Stellari». Stiamo parlando di Avatar, la pellicola di James Cameron, che con un budget superiore ai 300 milioni di dollari è già stato definito il film più costoso al mondo; uscirà in Italia fra una decina di giorni. L’avatar, nella religione Induista, rappresenta la reincarnazione di una divinità in un corpo fisico: Rama, eroe del Ramayana, e Krishna sono i più noti.
Nel mondo informatico il termine indica - all’opposto - la rappresentazione digitale di chi sta visitando un ambiente virtuale, come una chat o un gioco. Senza il bisogno di richiamare Freud o l’opera di Pirandello Il fu Mattia Pascal, è fin troppo chiaro il desiderio umano di poter vivere una seconda vita, una seconda possibilità. Quella del riscatto, forse. Nasce, nel 2003, Second Life, una comunità virtuale on-line dove gli utenti vengono rappresentati da avatar che possono interagire fra loro, creare attività commerciali o teletrasportarsi nell’intero mondo virtuale, perfino sposarsi. Una vita virtuale dove non si rischia nulla, dove ci si può ricreare un’identità nuova, dare sfogo ai desideri che nella vita abituale spesso ci neghiamo. Assomiglia molto a quei viaggi che si fanno, soli, in posti sconosciuti, o meglio, dove nessuno ci conosce: ci si sente più liberi e più se stessi. Nel nostro paese, dopo una crescita di utenti che ha avuto un picco fra il 2006 e il 2007, la bolla Second Life sembra essere scoppiata. Con gli Stati Uniti in testa per numero di utenti (più del 30%) - l’Italia è attorno alla settima posizione (4-5%) - sono rappresentate più di 200 nazioni. Sebbene il mondo 3D non sia diventato un deserto, il numero degli utenti non rispecchia più le aspettative iniziali degli ideatori. Terminato l’effetto novità, l’attenzione degli aspiranti avatar si è spostata sui social network come Facebook, Twitter o MySpace, passando quindi a preferire la condivisione di esperienze già vissute, tramite immagini o scritti, piuttosto che non una vita virtuale da inventarsi ex-novo. Sulle crescenti distese virtuali dominano i cartelli «For Sale», mentre i prezzi della terra virtuale sono leggermente scesi. Ironia della sorte, anche nel mondo reale abbiamo avuto una crisi non da poco che, in parte, ha portato a conseguenze simili. Lo stesso sito, sebbene il numero di connessioni rimanga elevato, non vede oggi rispecchiare appieno gli investimenti eseguiti e le entrate attese. Infatti, anche se la popolazione del mondo virtuale è in aumento, il tasso di crescita si sta riducendo.
Ricordo ancora quando, un paio di anni fa, tutti parlavano solo di realtà 3D, come se la vita reale non lo fosse, di isole su cui fare eventi e nuove conoscenze, come oggi ricevo richieste per incontrarci tutti su un social network. Che sia l’ennesimo fuoco di paglia tecnologico? Riguardare indietro di qualche anno aiuta a capire fenomeni del genere; le chat, quando il mondo virtuale non era alla portata di tutti, dettavano le mode del momento. ICQ, da «I seek you» (ti cerco), pioniere dell’instant messaging, è stato il programma con maggiore diffusione in Italia negli anni fra il 1998 e il 2001, per poi essere soppiantato da altri programmi come Yahoo! o Messanger. IRC, Internet Relay Chat, ha reso possibile sia la comunicazione diretta fra due utenti che il dialogo contemporaneo di interi gruppi di persone in stanze di discussione. Nascevano stanze che si occupavano di qualsiasi argomento si potesse immaginare, così come veniva a crearsi uno slang basato su acronimi, spesso da frasi in inglese, che oggi vengono ampiamente usate anche negli SMS: «LOL» da Laughing Out Loud (risata ad alta voce), ASL per Age Sex Location (Età-sesso-località) per sapere con chi si stava parlando o IRL per In Real Life (nella vita vera). Già, perché questi surrogati virtuali hanno bisogno di un distinguo rispetto alla vita "vera", quella in cui non si può semplicemente spegnere il Pc. Il bisogno di socializzare colmato dalle realtà virtuali, che facilitano i rapporti sociali fra comunità o gruppi che altrimenti sarebbe difficile incontrare, rischia di creare una dipendenza dal proprio alter ego che, a volte, potrebbe anche avere una personalità totalmente diversa da sé, per una sorta di nuova occasione nella vita. Tant’è che, anche in Second Life si sono creati centri di psicologia e psicoterapia che contano parecchi pazienti. Anche se, a quel punto, non si capisce se si sta curando - virtualmente, s’intende - l’avatar, l’utente reale o un insieme delle due personalità. In molti, tuttavia, si creano "solo" una vita parallela, simile a quella reale: lo scrittore o il cantante che pubblicizzano le loro opere a fans virtuali o uomini politici che tengono comizi (Di Pietro lo fece nel 2007). Oscar Wilde, in un epoca in cui i computer non esistevano, alla domanda su quale fosse la cosa più difficile a questo mondo rispose: «Vivere! Molta gente esiste, ecco tutto». In quest’ottica ci si dovrebbe chiedere se la vita virtuale, sebbene in 3D, sia veramente vita o solo esistenza.
(* Dottorando in Neurofisiologia sperimentale del San Raffaele di Milano)
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