Cultura e Spettacoli
Lunedì 18 Gennaio 2010
Documento mai visto
svela i segreti dei Petacci
In esclusiva sulle pagine culturali de "La Provincia" un lasciapassare per i nipoti e la nuora di Claretta: potrebbe essere una prova a favore della tesi che l'amante del duce collaborava con i servizi segreti inglesi. Ferdinando Petacci, che all'epoca aveva poco più di tre anni, sostiene che la madre fu stuprata dai partigiani. La carta non è mai stata studiata dagli storici, come conferma il professor Alfredo Canavero.
di Carla Colmegna
Mussolini e Claretta Petacci, zia Clara, la chiama Ferdinando. Ferdinando Petacci ha 68 anni e vive negli Stati Uniti dove si è trasferito nel 1983. Dopo aver abitato in diversi Stati, ora risiede in Arizona da pensionato, ma nel tempo libero cerca di mettere insieme i pezzi di quell’enorme e sfumatissimo puzzle che è la sua vita.
Il nipote di Claretta ha firmato di recente la prefazione al libro "Claretta Petacci-Mussolini segreto. Diari 1932-1938" edito da Rizzoli, a cura di Mauro Suttora. In questa prefazione, Ferdinando Petacci sostiene che sua zia fu una spia inglese, come suo padre Marcello, e che la morte dell’amante del duce fu opera degli inglesi. Ma, detto questo, mai comprovato da documenti storici, Ferdinando conosce molti dettagli mai venuti alla luce. Alcuni li racconta, altri no perché vorrebbe raccoglierli in un libro. Tra i particolari che accetta di svelare - perché, dice, potrebbero far luce su almeno due morti, quella della zia e del papà, e una vita da sorvegliata speciale, quella della mamma - ce n’è uno che riguarda un foglietto di colore verde acqua. È un lasciapassare inedito che gli storici di professione non hanno mai visto né studiato.
Ha come intestazione la sigla C.L.N - Corpo volontari della libertà - 52° Brigata d’assalto Garibaldi «Luigi Clerici». La data è: Dongo, 2 maggio 1945. Il testo: «Lasciapassare per signora Zita Ritossa e figli Ferdinando di anni 3=Benvenuto di anni 5 che si recano a Milano per raggiungere la famiglia. Via libera e assistenza a tutti i posti di blocco». Firmato: il comandante Francesco.
Il documento si riferisce a cinque giorni dopo le esecuzioni di Mussolini, Claretta e Marcello Petacci; Ferdinando lo conserva gelosamente perché «ha un’importanza fondamentale nell’illustrare la mia storia; penso - spiega Ferdinando - che mia madre sia stata abusata a Dongo e quel documento sia legato a quel fatto. Nella seconda metà degli anni Ottanta cercarono anche di rubarmelo. Ed in un altra occasione finii in ospedale perché qualcuno tentava di avere accesso al contenuto delle mie valigie. C’e chi nel 1993, come è scritto nella mia prefazione ai diari della Petacci, fu convinto a non pubblicarlo ed a mentire sulla presenza a Dongo di me e mio fratello durante quei giorni, dicendo che fummo affidati alle suore. Nel documento si parla di mio fratello come di 5 anni e di me come di 3 anni. In realtà mio fratello aveva quasi 5 1/2 anni ed io un poco di più di 3 1/2 anni. Oltre alla testimonianza di mia madre e di altre persone, il documento chiaramente indica che noi eravamo a Dongo con nostra madre». A parte ciò, Ferdinando Petacci è convinto che la madre sia morta («nel 1987 d’infarto, in un ospedale della Bassa Milanese, senza aver mai sofferto di cuore», dice Ferdinando) portandosi nella tomba dei segreti su quei giorni.
«Mia madre quando mi parlava del lasciapassare - aggiunge Petacci - dava ad esso un’estrema importanza e mi diceva "un giorno parlerò". E il motivo per cui qualcuno s’inventò che mio fratello e io non eravamo con mia madre in quei cinque giorni è perché quasi sicuramente mia madre fu abusata, noi presenti. Non ne ho la certezza, lei non me lo disse mai, non so cosa avvenne in quei giorni, ma è l’unica interpretazione che dà senso ai fatti di quei giorni. Lo sviluppo mentale di mio fratello si fermò a quell’età, non solo per aver visto l’uccisione di mio padre, ma anche per l’abuso di mia madre di fronte a lui». I fatti cui si riferisce Petacci sono, per lui, legati alla presenza di Luigi Longo nell’albergo di Dongo dove i due bambini Petacci e Zita Ritossa vennero tenuti dal 28 aprile al 2 maggio.
«Quel lasciapassare potrebbe rispondere alle domande che mi pongo da anni - dice Petacci -: perché trattennero mia madre, una donna con due bambini, per cinque giorni invece di rilasciarla subito? Perché anche altri hanno dato tanta importanza a questo documento? A Dongo ci misero in una stanza di un albergo vicino alla piazza di dove avvenne la fucilazione dei gerarchi. Non ne ricordo il nome, (hotel Dongo, ndr) dalla nostra stanza non si vedeva la piazza, ma da una stanza vuota vicino alla nostra sì - aggiunge -. Mia mamma a quell’epoca era una bellissima donna e mi disse che vari partigiani vennero nella nostra stanza. Uno di questi venne almeno due volte e mia madre lo riconobbe qualche anno dopo i fatti attraverso una foto su un giornale. Era Luigi Longo, che per lei era il colonello Valerio. Mia madre lo descriveva come uno che dava ordini ed è risaputo fosse un don Giovanni». Ma la storia dei Petacci è complessa. Dongo è solo una stazione di un viaggio che cominciò in Svizzera.
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