Cultura e Spettacoli
Sabato 23 Gennaio 2010
Fogazzaro da riscoprire
nel segno di "Malombra"
Ripubblicato il romanzo dell'autore vicentino, ambientato sul Lago di Como, nella Villa Pliniana. E' un rilancio critico per un autore quasi caduto nell'oblìo della letteratura.
Un grande critico del calibro di Luigi Baldacci aveva scritto: «L’oggetto di Malombra è il male: l’attrazione che esso esercita, l’istinto di morte, il "cupio dissolvi", il gorgo, l’abisso in cui la coscienza si annulla, la fatalità, il destino inteso cattolicamente come negazione o insufficienza della grazia. È il problema del male; ma un problema che non ha soluzione: alla maniera stessa che "I Malavoglia" sono il problema del dolore». È da rileggere questo famoso romanzo di Fogazzaro, celebre anche per le molte versioni cinematografiche, un romanzo che non precisa la topografia dei luoghi, ma che trova nelle ambientazioni un diretto riferimento al nostro lago. Il romanzo è infatti ambientato nel 1864 in un luogo non ben precisato. L’autore lo indica con una semplice lettera puntata: «R.». Le ricerche critiche e filologiche hanno dimostrato che la località si trova sulle rive di un lago lombardo, presumibilmente il piccolo lago del Segrino, tra Como e Lecco. Il palazzo che ha ispirato il Fogazzaro è invece la villa Pliniana, sul Lago di Como, visitata dallo scrittore e la cui atmosfera un po’ fredda e buia ben si adatta alla decadenza del mondo che vi è descritto.
L’occasione per riprendere in mano il libro di Fogazzaro viene da una nuova edizione, proposta dagli Oscar Mondadori (pag. 432, euro 8,40) con una nuova e decisamente interessante introduzione di Daniela Marcheschi che mette in luce un paradosso che ha accompagnato la ricezione dell’autore vicentino. Da una parte sottolinea come pochi scrittori nell’Ottocento hanno goduto di una grande popolarità sia in Italia sia all’estero come è accaduto a Fogazzaro, dall’altra questa popolarità non ha però sviluppato una seria analisi critica della sua opera. Sottolinea la Marcheschi: «Pochi autori come Antonio Fogazzaro sono stati oggetto di letture parziali e di minimizzazioni, di pregiudizi ideologici e di una visione storiografica pietrificata della nostra letteratura. Con questo autore invece è necessario oggi più che mai mirare all’Europa, allargare gli ambiti problematici dell’indagine letteraria per adeguarla alla ricchezza di pensiero, coglierne la consistenza e analizzarne gli aspetti particolari».
Un Fogazzaro tutto da rileggere criticamente quindi, a partire dalla convinzione della Marcheschi che sia stato «uno dei maggiori sperimentatori che la letteratura italiana abbia avuto tra Ottocento e Novecento». È un Fogazzaro quello che rilegge la Marcheschi che «racconta secondo lo specchio interiore della visione della realtà che si è formata in lui alla luce di una partecipazione viva alle cose, e di tutto ciò, nella tensione a costruire valori nuovi, vuol rendere una testimonianza vibrante». Buona rilettura quindi di questo romanzo che è più di uno teleromanzo televisivo, ma diventa una importante «riflessione sulla deprivazione dell’amore».
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