Cultura e Spettacoli
Martedì 09 Febbraio 2010
Lichtenstein a Milano,
vi raccontiamo la mostra
La più attesa mostra dell'anno in Lombardia ha aperto i battenti. Carlo Ghielmetti l'ha visitata per noi, mostrando l'artista americano sotto una luce assai più complessa di quella di uno genio in versione "fumetto".
È una bella mostra quella che si tiene alla Triennale di Milano, fino al 30 giugno, dedicata a Roy Lichtenstein (1923 - 1997), uno dei maestri più celebrati della pop art statunitense. Ma è ancora più apprezzabile il disegno critico che la guida. L'intento del curatore, Gianni Mercurio - che alla Triennale ha firmato le retrospettive dedicate a Warhol, Haring e Basquiat - è stato, in effetti, quello di proporre un Lichtenstein diverso o, per lo meno, insolito. Ovvero il ritratto di un artista che ostenta come le sue vere radici non provengano dal mondo dei comics americani, quanto dalla storia dell'arte del secolo scorso, dai suoi maestri indiscussi, come Picasso, Matisse, Monet, i futuristi, Dalì, Mondrian e molti altri ancora.
In effetti, ben sappiamo come la cifra espressiva di Lichtenstein, fortemente influenzata dai fumetti, sia dal punto di vista figurativo, sia da quello tecnico, con l'ossessiva ripetizione del pattern grafico della retinatura tipografica, ne abbiano fatto di lui una vera e propria icona dell'arte del secondo Novecento, che l'hanno però spesso limitato nella corretta considerazione critica. Si provi, ad esempio, a digitare il nome e il cognome dell'artista statunitense, in uno dei tanti motori di ricerca di internet, per vedersi inondati, per pagine e pagine, di immagini di eroine di carta che parlano attraverso i tipici "baloon" fumettistici.
In un tempo di "mostrismo", dove la superficialità regna sovrana e dove la comunicazione punta dritto sulle caratteristiche più semplici e riconoscibili da un pubblico allargato, ci si stupisce come, nell'esposizione milanese, l'unica concessione al mondo del fumetto venga lasciato a una foto scattata da Ugo Mulas, allo stesso Lichtenstein.
Dunque, se da un lato, la prima volta si analizzano le "Meditations on art" di Lichtenstein - così come recita il titolo - dall'altro, si sottolinea il debito che il Postmoderno ha nei confronti della sua opera. Già agli inizi degli anni Cinquanta, Lichtenstein mescolava i linguaggi modernisti provenienti dall'Europa con una rilettura dei temi appartenenti ai nativi americani e della cultura della grande frontiera.Impadronirsi di questi soggetti storici ha rappresentato una delle caratteristiche più pregnanti della poetica di Lichtenstein. Già, perché nel prendere a prestito un'immagine creata da altri e nel farla propria, egli ha introdotto in arte i concetti di "appropriazione" e di "copia" che legheranno tra loro tutta una generazione di artisti, non ultimo Andy Warhol.
Ed è proprio il concetto di copia ha costituito uno dei punti cardine sui quali in seguito si è basata la cultura postmodernista. La mostra (catalogo Skira) presenta cento opere, provenienti da numerose collezioni pubbliche e private europee e statunitensi ed è suddivisa in sezioni tematiche. Il percorso espositivo parte dagli anni Cinquanta quando l'artista rivisitava iconografie medievali e reinterpretava dipinti di maestri americani come William Ranney e come "Washington Crossing The Delaware" di Emanuel Gottlieb Leutze.
Ma è nel 1963 che Lichtenstein inizia a riappropriarsi di celebri opere dei maestri dell'arte del Novecento, come il vaso con i pesci rossi di Matisse, o le nature morte di Picasso. La sua rielaborazione di capolavori continua anche nel decennio successivo, quando approfondisce gli aspetti della pittura espressionista tedesca, del Futurismo e del Surrealismo di Mirò, Picasso e Max Ernst. In tutto questo, Lichtenstein riflette sulle concordanze e le differenze tra l'arte concettuale e geometrica e l'arte contemporanea che vede incarnarsi in Ferdinand Léger.
Particolarmente suggestiva è la sezione dedicata ai paesaggi, così essenziali e rigorosi, come pure di grande interesse è quella documentaria. Qui, accanto a foto dello studio e dell'artista nell'atto di creare, si trovano gli oggetti quotidiani del lavoro d'artista: i colori, le mascherine, i pennelli, ma anche i disegni e le pubblicazioni di carattere divulgativo con le riproduzioni dei maestri. È da lì, da queste immagini che Lichtenstein parte per produrre le proprie opere, un modo per riportare la dimensione ineffabile della pittura a quella di "oggetto stampato" e commercializzato.
«Roy Lichtenstein. Meditations on Art», Milano, Triennale (viale Alemagna 6); fino al 30 maggio; orari: martedì-domenica, dalle 10.30 alle 20.30; giovedì fino alle 23.00. Catalogo Skira. Ingresso intero, 9 euro.
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