Cultura e Spettacoli
Giovedì 11 Marzo 2010
Gli errori di Giovio
tornano alla ribalta
Franco Minonzio, il maggior conoscitore europeo dell'opera gioviana, ha pubblicato l'edizione critica di un libretto che il filosofo Varchi, nel Cinquecento, dedicò agli "svarioni", veri o presunti, dell'umanista comasco. E' un'opera coltissima, di grande interesse per capire come nacque la storiografia italiana.
A partire dall'autunno 1549, Giovio risiede a Firenze, dove si era portato da Roma, abbandonando dopo trentasei anni la corte pontificia. La protezione di Cosimo I de' Medici non era scevra di ambiguità, ma allora Cosimo aveva il merito di essere ai ferri corti con Roma: e dalla premurosa assiduità con il duca, tra Firenze e Pisa, Giovio - salvo un ritorno a Como, l'ultimo, tra l'autunno del 1549 e l'estate del 1550 - non si allontanerà più.
Da sei anni, intanto, il filosofo e letterato Benedetto Varchi è rientrato in Firenze, da cui si era allontanato nel 1537, dopo l'uccisione del degenere duca Alessandro de' Medici, e da tre il duca lo ha ufficialmente invitato a scrivere una storia di Firenze, circoscritta agli anni 1527-1532: dunque, centrata principalmente sulle vicende dell'assedio. Sarà la "Storia fiorentina", scritta in volgare, destinata ad essere pubblicata solo nel 1721 (Colonia, Martello). Dunque, anche per questa ragione, i contatti tra Varchi e Giovio erano destinati in questo periodo a infittirsi. I loro rapporti furono in quegli anni ispirati ad una sorta di «guardinga amicizia» come felicemente la definì Price Zimmermann: una cordialità scherzosa, ma probabilmente anche più di una divergenza, per la lettura politicamente ostile che Giovio diede, nei libri XXV-XXIX delle "Historiae", degli ultimi tre anni di vita della Repubblica fiorentina.
É probabile che Varchi avrebbe avuto molto da obiettare a Giovio dopo la comparsa (settembre 1552) del II volume delle "Historiae", che si apre proprio con questi libri "fiorentini", ma è certo che non ebbe il tempo di esternarlo allo storico, che morì il 12 dicembre 1552. Comunque si fossero svolti in passato i rapporti tra i due, tutt'altro effetto doveva ora produrre la pubblicazione di quella seconda parte delle "Historiae". Varchi affidò la sua contestazione della trattazione gioviana dell'assedio di Firenze al breve scritto ora ripubblicato, Gli "Errori del Giovio nelle Storie". Benché Carlo Dionisotti avesse già chiarito che «gli errori del Giovio erano errori pressoché inevitabili in una storia universale dell'età contemporanea», per molti questo scritto di Varchi era solo un arido elenco di «peccati veniali». Al contrario, insieme a inadeguatezze informative, gli "Errori del Giovio" denunciano anche alcuni gravi errori di valutazione storica. Nell'Italia uscita dal Sacco di Roma, messa a ferro e fuoco nel 1527 dalle armate imperali, ad esempio, non poteva essere solo frutto di una parzialità valutativa, ma errore di prospettiva storica, l'insistenza gioviana sui moventi fittizi (fede, pietà) di Clemente VII nel volersi riprendere Firenze: disposto a sacrificare quanto rimaneva dell'indipendenza italiana alla riaffermazione del privato dominio di casa Medici sulla città. E se si pensa a quanto dei vizi nazionali: servilismo, menzogna, indifferentismo religioso mascherato di devozione, ammirazione incondizionata della forza e della ricchezza, era schierato contro Firenze, nell'assedio del 1530, sotto le pie bandiere dei violatori di Roma, si ha ragione di ritenere che lì si sia giocata una partita più importante e dagli effetti più duraturi di quanto credesse Giovio. Esso è una breve opera, un "quaderno" come la chiama il Varchi, forse incompleta e, negli intenti di Varchi, probabilmente provvisoria, tramandata da due manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze: il BNCF II. II. 147, codice miscellaneo che contiene per intero il testo del Varchi, e il BNCF Magliabechiano VIII, 1398, codice miscellaneo, che contiene un frammento, con certezza autografo, fino ad oggi inedito, di una redazione più remota: forse la prima stesura. Una serie di argomenti inducono a ritenere che esso sia stato composto non immediatamente dopo la morte di Giovio, quando non sarebbe stato concesso ad alcuno in Firenze di tentare di demolirne l'opera storica, quanto dieci anni più tardi. Del 1562 è la pubblicazione a Lione, sotto l'egida di fuorusciti antimedicei, della "Historia Florentina" di Giovan Michele Bruto, preceduta da una "Praefatio" che conteneva, nei confronti dello storico comense, un attacco personale, tanto virulento quanto privo di riscontri argomentativi. Nel 1561 vi era stata la pubblicazione della "Storia d'Italia" del Guicciardini, che Donato Giannotti, in una lettera da Venezia, del 3 di marzo 1563, saluta come una prima botta alle «buffonerie del Giovio», sperando che Varchi venga a dare la seconda. Dunque, a quanto si coglie, nel 1563 la pubblicazione della "Storia d'Italia" di Guicciardini mette in fermento i fuorusciti, e li anima di spiriti di rivalsa. Giannotti e compagni hanno da tempo individuato il bersaglio: è Giovio, la sua opera maggiore, tanto celebrata e tanto sfacciatamente parziale verso casa Medici, la sua mendacità. Dopo la pubblicazione della "Historia Florentina" di Bruto, dalla "Praefatio" così aggressiva, Varchi doveva prendere posizione, ma non poteva criticare Giovio allo stesso modo di Bruto: così lo ha fatto in guisa molto diversa, con maggiore impegno e serietà filologica. La mia ipotesi è dunque che gli "Errori del Giovio nelle Storie" presupponga la prefazione della "Historia" del Bruto, e si spieghi proprio grazie ad essa, e al modello poco accettabile di critica antigioviana che conteneva.
Benedetto Varchi, «Errori di Giovio nelle Storie», edizione critica, a cura di Franco Minonzio, Roma, Vecchiarelli Editore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA