Cultura e Spettacoli
Lunedì 29 Marzo 2010
E fra Miranda e Amelia
Dossi elogiò Fogazzaro
Nell'epistolario ritrovato al Carducci un omaggio sorprendente
Dietro il biglietto la passione del provocatorio artista per la cugina
Mittente del breve ma deferente ancorché un tantino enfatico biglietto, datato 7 agosto 1875, è un giovane, Carlo Dossi, che vive a Induno Olona. Destinatario ne è Antonio Fogazzaro, nato a Vicenza nel '42, poeta baciato da grande e meritata fama per il poemetto "Miranda" recentemente pubblicato (1874).
Il primo, in realtà, non si chiama proprio così come si firma: all'anagrafe fa Alberto Carlo Pisani Dossi, è nato a Zenevredo sulle colline dell'Oltrepò pavese nel '49, e si è dato questo "nom de plume" da quando ha iniziato a coltivare molto precocemente interessi letterari (lui li chiama con snobistico vezzo "vagiti"), in prosa e in verso, sotto forma di racconti, romanzi, commediole e poesie, dando vita persino a una battagliera rivista, "La Palestra letteraria", a partire dalla seconda metà degli anni '60. All'altezza della data del biglietto al Fogazzaro, ha già scritto e pubblicato molto, "L'Altrieri" (1868) e "Vita di Alberto Pisani" (1870), e questo è valso a costruirgli intorno la fama di scrittore un po' bizzarro, che ama una raffinata letteratura di provocazione e ostenta un vivere sopra le righe, in una città come la Milano bohèmienne e scapigliata che di bizzarrie al momento non sente certo la mancanza. Più tardi, come è noto, intraprenderà una brillante carriera diplomatica, sulla scia del Crispi, prima di approdare a Como, dove morirà 16 novembre 1910, a Cardina, nella splendida villa del Dosso da poco completata. Ma questa è un'altra storia.
L'altro è un nome già tutt'altro che ignoto nel campo della poesia e circonfuso da crescente fortuna, dacché dopo i primi versi ("Una ricordanza del lago di Como", 1863) ha dato alle stampe testi di varia occasionalità e ora finalmente nel '74 la novella romantica in versi "Miranda", mentre s'appresta a diventare da lì a poco, con "Malombra" (1881) e "Piccolo Mondo Antico" (1896), l'interprete di un gusto fortemente connotato in senso spiritualistico. Tanto apprezzato da generare, come ho già altrove dimostrato ("Testuale", 6, 1986), addirittura un "tentativo" forse inconsapevole di plagio da parte del Verga, che nella novella "Fantasticheria", prologo dei "Malavoglia", rivela di aver tenuto ben presente il prologo narrativo della polimetrica novella fogazzariana.
Dunque, "Miranda": un evento che è parso rivelare all'Italia un nuovo grande poeta, l'inizio di un "caso" che ha cominciato a catalizzare sull'autore l'attenzione della critica e il consenso del pubblico.
Tra gli elogi, spiccano i giudizi critici di Gino Capponi («già amato e venerato dal Leopardi, dal Manzoni, dal Giusti», annota con orgoglio l'autore nelle sue "Memorie") e di Giacomo Zanella, anche se non senza riserve per la forma volutamente «un po' arida e asciutta» (Francesco De Sanctis) e per un'amarezza di fondo che "morde" il lettore (Giovanni Prati); tutti comunque a concordare che in essa c'è «ingegno e poesia vera» e che comunque a buon diritto incontra «più ammiratori nel pubblico che fra i letterati», come in una confidenza epistolare commenta un'amica, Emilia Peruzzi, e come lui stesso, Fogazzaro, rivendica a proposito della raccolta di poesie Valsolda («Se qualcuno legge i miei versi non chiegga loro tante ragioni...: io li ho scritti con assai maggior passione che arte per un'amica tenera»).
Cosa possa aver indotto il ribelle e trasgressivo Dossi, uno che il pubblico ama provocarlo più che blandirlo, a elogiare di un siffatto scrittore affermato l'"aerea" "Miranda", intrisa di una "voluttà" che sembra confarsi ben poco alla sua sensibilità, rimane abbastanza un mistero.
Come potrebbe emozionarsi uno che non fa mistero di fieri sentimenti misogini, dando ad essi voce nella contemporanea "Desinenza in A" diffusamente nelle "Note azzurre" (qualche perla, delle più castigate: «Le donne sono tante serrature in cerca di chiave», «Il cane è la bestia, che io, dopo la donna, preferisco»), dinanzi alla candida e fragile creatura, che, malata d'amore, s'immola perdonando e auspicando la resipiscenza del vanesio e fedifrago Enrico («Accetta, o Dio, quest'anima, recidi / la giovinezza mia /.../ ma ch'egli creda in Te, ch'egli Ti adori / che gli risplenda la Tua gloria in fronte»)?
Non è un elogio di maniera o di convenienza, questo è certo. Non risulta che tra i due ci fosse stata né prima né dopo una qualche relazione e frequentazione, almeno a stare al diario del Dossi, ossia alle "Note azzurre", dove il nome dell'autore di "Daniele Cortis" e "Piccolo Mondo Antico" mai è citato. Così come non risulta che lo scrittore vicentino abbia degnato di una risposta.
E allora come mai questo biglietto e da dove trae giustificazione?
Una spiegazione potrebbe venire dalla biografia. Vittima di ricorrenti disturbi nervosi (addirittura «assenze cerebrali», lui li definisce), il giovane Dossi trascorre il suo tempo tra Carate Lario e Induno, per curarsi la salute e ristorare l'animo dai frequenti insuccessi in amore con donne tutt'altro che all'altezza. Di queste, non solo fa un dettagliato elenco nelle lettere all'amico Luigi Perelli, decantandone velenosamente i difetti (Ester «splendida oca, malvagia per cretinismo», Amelia «che studia l'amore sull'abaco», Erminia che «fà la ritrosa agli abbracci ma non ai ventagli e alle sciarpe», Emma «peccatrice men per istinto che calcolo»), ma ne parla anche nelle "Note azzurre". Proprio qui colpisce un'annotazione a proposito della sua "prima cugina" Amelia, in una data molto prossima al biglietto in questione: «Il mio amore per lei raggiunse il suo colmo nel settembre del 1875». Dunque è forse Amelia la chiave per capire lo stato d'animo che può aver indotto l'umbratile Dossi a scrivere al Poeta di "Miranda" nell'agosto del '75: nel pieno cioè di un'estate di eroici furori (amorosi) e di una storia cui si sognava ben altro esito da quello che avrà effettivamente («tacqui tanto che, quando, all'agosto del 1876 il dì 13, me le dichiarai, Amelia era già innamorata di un altro»), il giovane è disposto perfino, abbandonandosi alla «voluttà dell'artistico pianto» dell'eroina fogazzariana, a sottoscriverne anche se con giudizio tutti gli empiti più svenevoli. Ad immedesimarsi nell'auspicio di quella («Tormentando ti vai senza riposo; / Dillo, misero cor, tu speri ancora»): no, non dispera ancora di realizzare anche lui l'«ardentissimo sogno» di amare ed essere amato, di cui parlerà all'amico Perelli in una lettera del 14 settembre di un anno più tardi.
Vincenzo Guarracino
© RIPRODUZIONE RISERVATA