Cultura e Spettacoli
Martedì 30 Marzo 2010
Rubens è meglio di Avatar,
una reporter spiega perché
Dopo 400 anni la pittura del genio fiammingo non smette di appassionare: per capirne le ragioni, per una volta, abbiamo deciso di non affidare l'articolo a un critico, ma a una giornalista di cronaca. Con un "compitino": leggere con occhi giovani e contemporanei, tutta l'attualità e la freschezza di tele dipinte nel Seicento.
Puoi stare un'ora a guardare i piedi di Virtù, perderti nei polpacci di Venere, seguire i muscoli fasciati dell'armatura di Enrico V. Nel "Baccanale" l'oro dei vassoi brilla talmente tanto che ti sembra di poterli levare dal quadro tanto sono reali. E l'infinità di bicchieri, calici e anfore, dipinte dai ragazzi di bottega di Pieter Paul Rubens, ha una trasparenza tale che ti sembra di poterci bere. Come ti viene da raccogliere il vino che esce dall'anfora rovesciata. Non si può lasciare Rubens a chi ama l'arte e basta. "Rubens e i fiamminghi" è una mostra che va vista da chi sbadiglia appena sente la parola museo. Rubens è un "anti-noia" e non a caso nel 1630 volevano tutti lui, i suoi quadri, i suoi ritratti. Era un pittore osannato, come uno stilista di adesso, come un calciatore, come una rock star, come un grande stilista. «Il Dior dell'epoca», per rubare un riuscito paragone a una collega. Un "Grande fratello" su Rubens avrebbe tenuto inchiodato milioni di telespettatori, perché serve talento e mestiere e maestria e pazienza e passione per far nascere una tigre che allatta i cuccioli così reale che ti viene voglia di accarezzare il pelo. Il "Grande fratello" nel 1600 non c'era, ma le opere del pittore di Anversa vanno viste, dal vivo, nella loro grandezza, nella loro imperiosità, con quella luce che squarta i cieli, con il rosso della vestina di Eleonora Gonzaga che cattura l'attenzione di un'intera stanza o il rosso della testa di un gallo ucciso, in un quadro che definire natura morta è un attentato alla vita. Gli "still life" (letteralmente: "ancora vivo", nell'uso: "natura morta") di una volta erano la pubblicità di adesso. E catturavano la bellezza, andando oltre il concetto di morte. Rubens incanta. Incantava nel 1600, incanta ancora oggi ma bisogna che chi considera la cultura qualcosa per vecchi faccia un atto di fede e si converta, almeno per un giorno. Alla fine della mostra, ringrazierà e uscirà con la voglia di tornare indietro per rivederla ancora. Perché i quadri esposti a Villa Olmo, nel buio più totale, hanno luci più psichedeliche di una discoteca, storie da raccontare di Facebook, varietà di colori di un centro commerciale. Rubens è meglio di "Avatar", effetti speciali a manetta. Adrenalina come "Fast and furious". Rubens è una sveglia a un torpore generale. È un ascensore per superare il livello della mediocrità. Rubens è l'eccellenza che una volta toccata resiste nei secoli.
E poi è un tuffo nella storia di un uomo di successo. Era sposato con tre figli ed era il re dell'arte sacra. Sua moglie morì e lui, a 53 anni, si risposò con una giovane di 16 anni. Da quel momento divenne un maestro nel dipingere i nudi, che molti esaltano per il loro erotismo, ma in realtà sono carni morbide, burrose, che rivalutano i canoni di bellezza di adesso. "Le tre grazie" potrebbero essere prese come modelle per le taglie morbide, mentre innalzano un vaso di fiori. E se si guardano ancora Vittoria e Virtù, in un quadro che definire mastodontico è poco, hanno piedi enormi, ma sono ugualmente femminili nei loro pepli illuminati da pennellate di colore.
Rubens è un maestro, sia che dipinga le volte della chiesa di Anversa sia che riproponga il trofeo di armi. Un quadro monumentale, dedicato al console Publio Decio Mure, eroico condottiero romano del IV secoli la cui storia ci è stata tramandata da Tito Livio
"Borea che rapisce Orizia" è una miniera di particolari, non solo le guance gonfiate del vento ma anche gli angeli che ci stanno intorno che giocano con palle di ghiaccio, scatenando la tempesta. Sono i quadri della parte centrale della mostra, che si apre con le opere degli altri pittori fiamminghi. Scene di vita contadina o ritratti di nobili famosi con tanto di schiavetto nero a fianco che porge l'uva. Ma è dalla sala centrale in avanti, da quella tigre che spicca nel "Baccanale" che si compie la pienezza di Rubens, il suo talento con il pennello, quella ricchezza di colori che rende uniche, morbide e vivide le sue opere. Ogni quadro va visto da vicino e da lontano, ogni opera è un mondo da esplorare nel dettaglio. E il documentario che viene trasmesso in una saletta aiuta a comprendere meglio la vita e la carriera del pittore.
«Rubens e i fiamminghi», Como, Villa Olmo, fino al 25 luglio. Orari: da martedì a giovedì, ore 9-20; da venerdì a domenica, 9-22; lunedì chiuso. Info: www.grandimostrecomo.it
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