
Cultura e Spettacoli
Lunedì 26 Aprile 2010
Di Plinio non c'è traccia
nel latino dello Scientifico
Le opere del celebre comasco non figurano più tra quelle degli "autori richiesti" nella programma di latino previsto dalla riforma Gelmini. Lo ha scoperto una professoressa del liceo comasco "Giovio"...
«Non tam praeclarum est scire latine, quam turpe nescire». (Cicerone, Bruto). Fino ad oggi, nel liceo scientifico tradizionale in seconda c'erano addirittura 5 ore di latino, a fronte delle 4 di matematica. Ma come, i ragazzi si iscrivono per passione scientifica e si trovano 5 ore di latino, materia annoverata tra le umanistiche?! Secondo la concezione gentiliana, anche allo scientifico, - istituito nel 1923, dopo il classico - il latino era fondante per la sua ampia valenza formativa, non solo linguistico-letteraria: si diceva ai discenti che «insegnava a ragionare». E oggi? Il latino -siamo convinti- insegna ancora a ragionare. Ecco allora che nel nuovo scientifico della Gelmini esso permane, benché diminuito a 3 ore settimanali. È nato anche il "liceo delle scienze applicate", potenziato di scienza, sì, ma... senza latino. Perché? Forse si ritiene che oggi la formazione scientifica debba prescindere dal latino? Che chi ama la matematica e la voglia studiare accuratamente, debba rinunciare ad una materia che pure ha un assoluto rigore logico, dunque scientifico? Nei nuovi licei le ore di latino sono state ridotte, ma il programma da svolgere è lo stesso: conoscere, tradurre e istituire raffronti etimologici. Ma come fare tutte questo («brani di Cesare, Ovidio, Catullo») al biennio del linguistico, con due sole ore settimanali? Le Indicazioni Nazionali dedicano alla "lingua e cultura latina" uno smilzo profilo generale, infarcito di suggerimenti già noti ai buoni docenti («far riflettere sul rapporto tra pario "io genero" e parentes "genitori", e tra lat. parentes e franc. parents, poi passato all'ingl. parents..."»). Sparisce Plinio dagli autori richiesti, ma sarà imprescindibile san Girolamo. O tempora, o mores! Si taccerà la scrivente di dire pro domo sua, difendendo il latino in Italia. Affidiamoci allora alle parole dello scienziato Cavalli Sforza, che così scriveva nel 1993: «Oggi è in corso una battaglia silenziosa nella scuola, in cui uno dei probabili perdenti sarà il latino (...) Ho capito che se ho imparato a ragionare e risolvere problemi complessi è stato grazie alla traduzione dal latino, che è un'arte molto difficile. Fra le mie esperienze scolastiche, essa è stata l' attività più vicina alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto. È fondamentale esercitarsi nel procedimento logico-induttivo, necessario in qualunque ricerca. Il processo di base è lo stesso in tutto il sapere. Resta poi da fare, per noi italiani, un' altra considerazione (...) Vi è abbastanza "noblesse" nella cultura latina che essa ci "oblige" a non dimenticarla. È bene quindi continuare lo studio della sua lingua in profondità».
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