Cultura e Spettacoli
Giovedì 20 Maggio 2010
Avallone e Laurana Berra
Staffetta di autrici a Como
Alla libreria Ubik di piazza San Fedele, il 21 maggio, doppio appuntamento con la letteratura: alle 17 Laurana Berra presenta il suo libro di racconti "Un caso di adulterio e altre storie" (Mobydick), mentre alle 18 Silvia Avallone, esordiente celebrata dalla critica, parla di "Acciaio" (Rizzoli), il romanzo ambientato a Piombino, con il quale è in lizza per il Premio Strega.
Diciannove racconti dall'ispirazione eterogenea, quasi un repertorio della varietà di temi, umori e registri espressivi di cui l'autrice è capace. «Un caso di adulterio e altre storie» (Mobydick, 155 pag., 13 euro) è il libro che l'autrice Laurana Berra presenta il 21 maggio alle 17 alla libreria Ubik di piazza San Fedele. Nata a Milano ma cresciuta a Como, Laurana Berra ha studiato negli Stati Uniti ed è quindi stata redattrice per Mondadori, lavorando con Quasimodo e Vittorini e incontrando autori come Faulkner ed Hemingway. Traduttrice dal francese e dall'inglese, ha pubblicato «La grande famiglia» (Feltrinelli), «Il tempo di Connie» (Marotta & Cafiero), «Nove fiabe metropolitane», «Giovane è la memoria» e «Nel bozzolo dorato», tutti per Mobydick.
La molteplicità della esperienze personali e professionali ben si riflette nelle ambientazioni e negli sfondi dei suoi racconti, che spaziano da Como a New York al Sudamerica. Anche i generi sono i più diversi: dal giallo dal gusto satirico del brillante racconto d'apertura, quello che dà il titolo alla raccolta, all'affresco fantastico («Il miracolo di San Lorenzo»), alla tragedia storica («Gli emisferi di Magdeburgo»), alla parabola di crescita («Il primo bacio»), fino all'alone di realismo magico delle «Storie messicane». Gli ultimi due racconti, quasi a riassumere stili e tematiche, coniugano riferimenti autobiografici e leggerezza immaginifica, con uno sguardo velato di malinconia all'ineluttabilità del tempo che passa.
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di Grazia Lissi
Silvia Avallone - oggi alle 18 alla libreria Ubik - parla con calma, si appassiona mentre racconta la sua storia. Ventisei anni, una massa di capelli ricciuti che le scivolano sul viso. Potrebbe essere la studentessa con cui viaggi in treno se non avessi già letto il suo libro "Acciaio" (Rizzoli, pag. 357 € 18) e provato simpatia per le due protagoniste tredicenni, Anna e Francesca, il loro mondo chiuso e tragico. Dove l'amicizia si trasforma in amore, il branco in solitudine, la precarietà in sogni e desideri da afferrare. Un romanzo d'esordio importante: 4 edizioni, da 5 mesi in classifica, è stato selezionato per il premio Strega. Eppure l'autrice rivela: «Mai me lo sarei immaginato…».
Quando scriveva pensava ai suoi lettori?
No. E' già difficile raccontare una storia, costruire un mondo, seguire i personaggi. Pensavo esclusivamente ai miei protagonisti. Volevo offrire un'immagine dell'adolescenza non patinata, non da fiction televisiva. Raccontare una realtà che viene spesso ignorata. Crescere in provincia, in un quartiere marginale e popolare, pone ad Anna e Francesca, due ragazzine, dei problemi immediati da risolvere: economici, sociali, di vita quotidiana. L'adolescenza è un'età piena di paure e inquietudini, il corpo sfugge di mano. Non è facile scoprire il mondo, i desideri, la sessualità.
Anna e Francesca sono "belle e infelici". Anche questo è un motivo di successo?
La letteratura spesso e volentieri porta all'ennesima potenza la realtà e racconta i casi limite. Ho potenziato la bellezza dei corpi delle due adolescenti in contrasto alla durezza dell'acciaio, alla brutalità dello sfondo sociale in cui sono collocate. Questa è un'operazione letteraria. Difendo le mie protagonista perché hanno il coraggio di volersi bene e di tenere salda la loro amicizia. Sono due vincenti con il desiderio di vivere.
Eppure leggendo Acciaio si ha la sensazione che quasi tutti i protagonisti non abbiano via d'uscita. Perché non ha dato loro un'ancora di salvezza?
Vivere in una provincia desolata - Piombino è solo l'ambientazione - in un posto con poche occasioni culturali e di lavoro dà una vita povera e infelice. Queste vite a grado zero hanno una profonda dignità e umanità, sono persone che lottano per stare in piedi. Non sono nichiliste, sanno resistere, nonostante tutto. Spero che il mio romanzo faccia pensare che il nostro paese non è solo Roma o Milano.
Com'è arrivata a pubblicare il primo romanzo con un editore importante come Rizzoli?
Non ho fatto nessuna scuola di scrittura, vengo dalla poesia. Ho una gavetta di versi, un lavoro sul linguaggio. A un certo punto mi sono sentita in grado di affrontare il romanzo, sicura del sacrificio che c'era dietro. Ho mandato il manoscritto in Rizzoli. Non pensavo di essere richiamata.
Su Facebook dialoga con i lettori. Qual è il loro identikit?
Non sono solo giovani, ci sono anziani che ricordano la loro adolescenza, i fenomeni crudi che hanno vissuto in maniera diretta rispetto alle generazioni di oggi. Credo che il mio libro sia piaciuto più alle donne, forse perché leggono più degli uomini. Ricevo messaggi da quindicenni e da sessantenni. Dicono d'aver pianto, che i personaggi sono rimasti impressi anche dopo la fine del libro. Quando un libro è in libreria inizia la sua strada, ogni interpretazione dei lettori è quella giusta.
Ha detto: «Mi è sempre piaciuta la letteratura che racconta i vinti». Crede di essere riuscita a raccontarli?
Mi basta aver scatenato un minimo dibattito su questi giovani operai di cui non si è mai molto parlato.
Quali romanzi ha più amato?
I russi e i francesi, Flaubert, Dostoevskij. Romanzi cattedrale che raccontavano il loro tempo, i dissidi della vita umana. Fra i contemporanei mi piace Don De Lillo perché ha saputo raccontare le tragedie di oggi e gli Stati Uniti.
Ha 26 anni e ha avuto una grande opportunità. Con che sguardo guarda la sua generazione?
Il grande sforzo che ho fatto nello scrivere il libro nasce anche dalla consapevolezza che dopo la laurea in lettere non avrei saputo dove sbattere la testa. Alla mia generazione manca il lavoro. Oggi mi sento fortunata ma so che tutto dura un momento. Devo ancora laurearmi, mi mancano due esami.
Di lei hanno scritto: «È una scrittrice straordinaria», altri invece hanno definito il libro «accattivante e furbo». Come reagisce?
Un autore non si fa con un libro. Scrive tanti libri per raccontare una vita, in genere la sua. Sono al primo tassello della mia, voglio continuare a crescere. Del mio libro si può dire che è ingenuo, con molte pecche, che avrei potuto lavorarci di più. Ma è un pezzo di me, gli ho dato tutto.
(L'intervista completa si legge sull'edizione cartacea de "La Provincia" di Como del 21 maggio)
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