Cultura e Spettacoli
Sabato 29 Maggio 2010
Addio a Hopper,
diresse Easy Rider
La sua ultima uscita pubblica, lo scorso marzo, lo mostrava molto debilitato a causa del cancro alla prostata, ma non piegato dalla malattia. Il suo primo film da regista segnò, nel '69, un'epoca.
di Bernardino Marinoni
Ha avuto giusto il tempo di vedere la sua stella impressa sul sacrario hollywoodiano della celebrità, assistendo - lui davvero sul viale del tramonto, ridotto in carrozzina dal cancro - ad una cerimonia che, finalmente, lo consacrava tra i famosi del cinema. Ce n'era ben donde per Dennis Hopper, spentosi il 28 maggio a 74 anni, a Venice in California. Nessuno potrà mai togliergli l'immagine con cui era entrato nella memoria collettiva, autore e tra gli interpreti del più famoso dei "film di strada", quell'Easy Rider del 1969 che mescola e confonde il classico tema del viaggio con quelli, allora così attuali, della cultura alternativa. Rock, droga, sesso. I manubri della coppia di «Choppers», le motociclette degli hippies coevi, si sono impressi sullo schermo privato di chiunque abbia visto il film, cristallizzando un'epoca sotto il segno di un pessimismo feroce, non immemore dell'assassinio dei Kennedy e di Martin Luther King. La pellicola ebbe un successo strepitoso. La prima regia di Hopper resta quella memorabile, tra la mezza dozzina di film che ha firmato con esiti alterni al botteghino, ma esibendo - regolarmente - tanto bizzarrie e velleità, quanto originali idee di regia (che gli valsero anche riconoscimenti di prestigio), come Fuga da Hollywood (1971), in concorso alla Mostra di Venezia. Da regista è stato autore di disegni particolarmente efficaci, di personaggi ritratti tra ribellione e desolazione. In Easy Rider aveva offerto a Jack Nicholson il ruolo che lo lanciò, così in Colors (1988) mette a confronto i poliziotti Robert Duvall e Sean Penn sullo sfondo della contesa tra bande giovanili ispaniche. La vocazione di outsider accompagnerà sempre l'opera di un cineasta incline all'eccesso, ma anche venata di romanticismo e votata alla tragedia. Succede in Easy Rider, dove i protagonisti muoiono ammazzati dai colpi di fucile esplosi da un ordine che cala con pugno di ferro, ma anche quando non scorre il sangue, la scena non è meno tragica, nello squallore senza riscatto in cui si presenta.
È come se il suo esordio di interprete, in Gioventù bruciata con James Dean (1955), lo avesse marchiato ribelle senza causa. In una carriera d'attore intensa, dei western di una stagione ancora classica, alla chiamata di Wim Wenders nell'Amico americano, presente sui set di Francis Ford Coppola (in Rusty il selvaggio, del 1983, è da Oscar nella parte di un avvocato alcolizzato) e di David Lynch, oltre che, da ultimo, di George A. Romero (La terra dei morti viventi, 2005), capitolo trasparentemente politico di una saga horror dell'America, che è quella nella quale Hopper doveva essersi ritrovato.
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