Cultura e Spettacoli
Mercoledì 02 Giugno 2010
L'iPad? Una rivoluzione al contrario
Un giovane scrittore, studente di ingegneria, smonta il mito della tavola touch-screen
Agli sgoccioli del Liceo, quando presi parte al Bocconi Talent Scout Program un po' per gioco e un po' perché c'eran da sbafare due giorni al quattro stelle, stetti qualche tempo a chiedermi se per caso, nella sbiadita ed opalescente figurina del mio futuro, non ci fosse per davvero l'economia.
Conclusi poi che cotanta ispirazione finanziaria fosse più frutto dell'ambiente bocconiano puntinato di tivù LCD per i corridoi, di aule ad anfiteatro (aaah, quanto le ho desiderate quelle, una volta dentro i casermoni della sede lecchese del Poli) e di un quantitativo non indifferente di belle manzette (aaah, come sopra) che non di una reale vocazione. Ché poi, ad onor del vero, l'economia io non ho mai capito bene come gira.
Prendiamo il caso della settimana, l'iPad. Io me ne interessai quando fu lanciato in pompa magna negli States, con magna copia di titoloni e rivoluzioni ché tra queste fregnacce ci sguazzano sempre. Premesso che tecnologicamente parlando vivo fuori dal mondo e quando vidi la manchette in prima pagina pensai subito che qualche frescone lì a La Provincia avesse sbagliato a scrivere iPod (di cui si parla dai tempi delle mie medie inferiori, quando ero un piccolo nerd senza occhiali e sapevo a memoria le frequenze dei Pentium), ancora restìo ma tentennante alle lusinghe dell'iPhone mi fiondai in cerca di nuove. Categorico il verdetto del mio primissimo consulente, ex-perito informatico e neo-giurisprudente («Lascia stare, è una merdaccia»), ma nondimeno, con gli entusiasmi un po' sedati ma la sete del vero ancora incorrotta, spulciai il web come ad ogni occasione del caso. E, tolto il classico keynote di Steve Jobs che declama alla stampa stelle e strisce il neonato (da quanto che non lo si vedeva usare due mani, e già la cosa inquieta), la reazione indipendente degli smanettoni cibernauti non mi sembrò delle più incoraggianti.
Trattasi, pare, di un iPhone sapientemente gonfiato nelle dimensioni in modo da non poterci stare in tasca, nemmeno di un marsupiale, che a differenza di quest'ultimo (dell'iPhone, non del marsupiale) non ha videocamera e non può fare chiamate né mandare messaggi di alcun tipo, nonostante l'alloggiamento, nella sola versione superpiùmigliore, per micro-SIM - badate bene, non la normale SIM di ogni cellulare, bisogna richiederne una apposita al proprio operatore telefonico in un'epopea vertiginosa di un sincero paio di settimane se Dio è con voi, provare per credere.
Volendo cambiare punto di vista, nonostante la mia idiosincrasia verso una qualsivoglia cultura della macchina, lo si potrebbe vedere come un mezzo-tablet dalle prestazioni alquanto loffie per quello che si trova, connesso col mondo solo attraverso i canali Apple da cui comprare (e non sperateci nemmeno, a quanto ho visto qui non se ne parla di scroccare con eMule) musica, elettrolibri o applicativi per i già visti iPod Touch e iPhone con la differenza che qui, sull'iperdefinito dieci pollici che, volendo, giustifica da solo la spesa, si vedranno sgranati come il primissimo Pac Man - che peraltro colgo l'occasione di ringraziare, per i suoi 30 anni celebrati da Google con la demo nella home page ho avuto di che fare in università la settimana scorsa.
Tornando all'iPad, flop annunciato, dite? Macché! La mela di Cupertino l'ha vista giusta un'altra volta, e come non aspettarselo da chi ha definito la musica portatile facendola pagare tre volte chiunque altro? Lo dico io cos'è l'iPad, è pura rivoluzione amarcord, uno schiaffo in faccia al bieco progredire che ha visto tutto rimpicciolirsi aumentando funzioni e potenza, dal computer alla gonna all'automobile - anche se gli appassionati ancora faticano a definire la Smart come tale.
Mister Jobs ha fatto di un costosissimo oggetto del desiderio che era piccolo, funzionale e terribilmente fico qualcosa di sgraziato, scomodo e completamente inutile, aumentandone pure il prezzo, ed è già caccia al vip che non ne farà sfoggio in pompa magna durante qualche vasca metropolitana, con la sola problematica di mantenere il must dell'aplomb distaccato con una mezza tivù per le mani.
Pronti a scommettere che Bill Gates mangerà la foglia prima che il cappello e rivedremo lo schermo blu dei nostri incubi peggiori, che credevamo debellato dopo il beneamato Windows 98.
Presto torneranno anche i pattini con le quattro rotelle due a due, tutto sfregare e rumore, e la fumosa Trabant della Ddr in barba alle norme Euro, e la benzina quella no, costerà sempre uguale anzi di più.
Andrà così e la chiameranno retroeconomia, o economia del didietro, e nessuno rida. E se sarà la Storia a darmi torto, Dio salvi il Politecnico, ché alla fine mi sono iscritto lì.
Filippo Pozzoli
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