Cultura e Spettacoli
Sabato 12 Giugno 2010
Il tennis di Clerici, una vita di passione
Il nuovo libro del giornalista e scrittore comasco sugli Internazionali d'Italia: una galleria di storie, personaggi e annotazioni di costume del più grande cantore italiano di questo sport
Una religione che gli fu rivelata forse, racconta con gli opportuni dubitativi, proprio assistendo a una finale milanese degli Internazionali d'Italia: era il 1934, Gianni era un bimbetto e di quella partita - vinse, per la cronaca, Giovanni Palmieri su Giorgio De Stefani - non conserva ricordi indelebili. Tuttavia l'episodio gli deve essere stato tramandato come attendibile: «... ci riavviammo verso Como sull'autostrada a corsia unica, e, se devo credere a mia madre, fu proprio lì che papà mi domandò se il gioco mi fosse piaciuto e, alla mia risposta affermativa, dichiarò: "Quando sarai più grande, potrai giocare anche tu. E magari diventare un campione come il nostro caro Taroni". Ipotesi, ahimè, del tutto vana». Perché Clerici, che pure il tennis ha praticato per anni - prese parte pure agli Internazionali, racconta «realizzando un insolito record: non sono mai riuscito a vincere un match di singolare, con un sola eccezione: il ritiro dell'avversario» - non è mai diventato un asso del tennis, riuscendo però magnificamente con la penna dove con la racchetta era stato meno incisivo e mettendo a segno, da giornalista sportivo, centinaia di quei servizi indimenticabili tante volte inseguiti sulla terra battuta.
Una carriera che ha fatto di Gianni Clerici probabilmente il più grande cantore - scriba, si definisce lui con nobile understatement - del tennis. E questo libro - che esce nel momento i cui la straodinaria impresa di Francesca Schiavone al Roland Garros ha riacceso di accenti eroici le cronache tennistiche - racconta appunto il tennis "alla Clerici", così come c'è stato un modo di raccontare il calcio "alla Brera", impastando il racconto di coloriture narrative e letterarie che lo proiettano molto al di là della mera cronaca sportiva. Che Clerici - con la sua storia, e il suo stile - sia il protagonista del libro almeno quanto lo è il tennis, d'altra parte, lo esplicita chiaramente la bella copertina, un quadro del pittore Vladimir Velickovic, che ritrae lo scrittore comasco a bordo campo nei panni di un giudice di gara.
Da quello scranno ideale Clerici ha visto e raccontato la storia del tennis, italiano e non, e dei suoi eroi, moltissimi dei quali sfilano anche in questa galleria dedicata agli Internazionali d'Italia: da Nicola Pietrangeli e Björn Borg, da Guillermo Vilas ad Adriano Panatta, da Vitas Gerulaitis a Yannick Noah, e poi ancora Paolo Bertolucci, Boris Becker, Andre Agassi, Lea Pericoli, Martina Navratilova, Chris Evert, Gabriela Sabatini, Monica SelesVenus William, Jennifer Capriati, Martina Hingis e tanti altri. Nel volume si trovano anche i molti articoli che Clerici ha dedicato alla Schiavone per le sue partecipazioni agli Internazionali d'Italia.
Ecco come descrive un Borg non ancora diciottenne ma già portatore dei caratteri della grandezza: «Borg parla e si muove con la sublime semplicità dei predestinati, degli unti del Signore dei campi rossi. Tutto è facile, scontato, naturale, in campo e fuori. Mentre si diffonde la leggenda della sua irresisitbilità, dei suoi successi femminili, molte giovani e vivaci tenniste sospirano nell'ammettere rassegnate che, in un Paese dove l'educazione sessuale viene impartita all'asilo, i pruriti svaniscono rapidamente. Pensa solo a giocare, Borg, e una quantità di seplocri imbiancati gli predicono imminenti ritiri sulla Montagna Incantata, una rapida e singhiozzante eclisse da Mimì dei court». E vale la pena di riportare ampi stralci della fulminante cronaca, è il 28 maggio '75, di un incontro Panatta-Gerken: il primo, in fase calante della carriera, molto criticato per uno stile di vita dissipato: «Per tutto il primo set, Adriano è parso sentire soltanto i sibili, e si è mosso qui e lì vaneggiando come Ofelia. All'inizio del secondo, uno strano fenomeno si è sorprendentemente prodotto in lui. Stufo marcio di soffrire, di ragionarsi addosso, di ruminare giudizi critici, Adriano ha affondato un colpaccio, una specie di cazzottone nella palla, e quella femmina è prontamente, flessuosamente schizzata nel suo angolino, a scopare le righe. Da qual momento, tutto è parso facile, almeno da seduti. (...) Sorpreso dalla resurrezione, Gerken non faceva che propiziarla, affannandosi a rete, e costringendo così Panatta a precederlo. Sull'ultima palla, spero ripresa da un fotografo scattista, tutti due finivano lunghi e distesi, e Panatta veniva subito sommerso da decine e decine di piccoli, crudeli cannibaletti e baccanti, che fino a ieri l'avevano fischiato».
Barbara Faverio
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