Cultura e Spettacoli
Lunedì 14 Giugno 2010
Svelato il mistero
del "terzo" Broletto
Dalla citazione ritrovata in un documento d'archivio, il professore e critico d'arte Alberto Rovi ha ricostruito l'esistenza di un edificio che sorgeva di fronte al Duomo di Como. Nel 1453 fu abbattuto e nessuno ne seppe più nulla. Fino a che....
Una piazza del duomo diversa da quella che conosciamo è difficile da immaginare, ma se si potesse indagare un paio di metri sotto la pavimentazione attuale, davanti alla facciata della cattedrale, non dovremmo più sorprenderci di scoprire i resti di un palazzo medievale. Lo possiamo immaginare allineato con la via Cinque Giornate. Finché ci fu quel broletto, la facciata del duomo (del precedente duomo) era più arretrata dell'attuale. Come annunciato su queste pagine venerdì da Cesare Piovan nella presentazione all'ultimo numero della "Rivista Archeologica Comense", il Comune di Como ebbe ben tre diversi broletti. Nell'Italia settentrionale i palazzi comunali, altrimenti detti arengari (a Monza) o palazzi della ragione (a Vicenza), presero più frequentemente il nome di broletto dal vicino prato (brolo) nel quale si riunivano i cittadini. Erano le sedi dei giudici. Gli storici comaschi avevano lasciato notizia di un secondo Broletto in via Tatti/via Lambertenghi dove poi sorse la chiesa dei Ss. Felice ed Amanzio dei Gesuiti, detta chiesa del Gesù.
Nessuno si era accorto o aveva dato peso ad un documento conservato fra le pergamene del Comune che ci consente di parlare di un terzo edificio. A farmici portare l'attenzione è stata la dottoressa Magda Noseda dell'Archivio di Stato, esperta paleografa, sempre prodiga di consigli verso che si interessa alla storia comasca. L'atto, del 1453, parla di un Broletto Nuovo da demolire. Come capita sempre quando una fonte storica ti spiazza, facendo vacillare le precedenti conoscenze, si produce l'effetto del sasso gettato nello stagno: le onde si allargano in successione. Le prime sono generate dallo stupore, le seconde dagli interrogativi, le successive dalle verifiche e dai confronti. Siccome le verifiche sul campo non erano possibili (ma auspichiamo che si facciano), quelle percorribili erano sulla carta, o meglio sulle pergamene, risalendo fino al Duecento e ridiscendendo fino al Cinque-Seicento dei nostri primi storici. Non si è trascurato però di riconsiderare il Broletto esistente, sempre datato 1215 confidando su una lapide incastonata sulla facciata verso la piazza. Una data sospetta per il Broletto, come già segnalava lo Zastrow riflettendo sulla "Scultura gotica nel Comasco" (1989).
Ai documenti si chiedeva conferma della dizione "Broletto Nuovo" (Borletum Novum), conferma che si è trovata, ma solo nel corso del '300. Si è appurato come gli storici comaschi avessero già usato quella dizione, ma in relazione all'altro citato broletto in parrocchia di S. Benedetto (area del Gesù): dal loro punto di vista non erano in errore perché il broletto distrutto era già scomparso e se ne era ormai persa la nozione. Neppure nel libro su "Il Duomo di Como e il Broletto" (Como 1950) Federico Frigerio, citando le riparazioni al Broletto del 1436, si rendeva conto di atti che si riferiscono a due distinti edifici vicini. I restauri erano dovuti agli incendi provocati nella guerra civile (1408). A seguito di quei disastri e probabilmente per allontanarsi dall'area della Cittadella Viscontea (tra piazza Roma e il Castello poi Teatro Sociale) si era approntato un broletto molto distante che troviamo documentato dal 1423 ed in uso fino al 1446. Dal 1448 tornò in funzione il Broletto che ancora conosciamo. A quello si riferiscono le spese di restauro conservatesi, nelle quali si parla di Broletto Vecchio (1436). Ma i Comaschi avevano chiesto di ripristinare il Broletto Nuovo: ben due volte mandarono al duca di Milano la stessa supplica (4 aprile 1435 e 24 dicembre 1435) senza ottenere risposta. Giunse invece un ordine, nell'agosto 1436: restaurare il «Borletum Vetus». Perché tanta noncuranza per le richieste di Como? La risposta si nasconde probabilmente proprio nel documento del 1453, che ordina la demolizione del Broletto Nuovo spiegandone la ragione: perché situato in mezzo alla piazza comunale, proprio davanti alla facciata del duomo, compromettendo la qualità della piazza e la dignità della cattedrale. Quell'edificio era un rudere, di cui rimanevano i pilastri e il lastricato, e due o tre anni prima era stato ceduto dal Comune a due osti che vantavano crediti. Si trattava di riscattarlo, ma il Comune non aveva liquidità. A risolvere il problema interveniva ser Arigolo de Soldino che anticipava un'ingente somma di 1.500 lire. Nell'atto, il Soldino è segnalato come «vir bonus». Da quel momento lo spazio occupato dal Broletto Nuovo, e incautamente ceduto a privati per qualche anno, tornava pubblico e a demolizione completata sarebbe per sempre dovuto rimanere libero a vantaggio del duomo e dei cittadini. Ma chi era Arigolo (Enrico) Soldino? Grazie agli studi sulla Fabbrica del Duomo di Elisabetta Canobbio del Centro Studi Rusca, sappiamo che era un mercante, figlio del notaio Nazaro: già membro del Consiglio di Provvisione del Comune nel 1428, fu rieletto nel 1454, probabilmente a seguito del suo contributo. Il Soldino nel 1452 risultava tra i responsabili della Fabbrica del Duomo. Queste notizie combinate sono di eccezionale importanza: nel 1452 si era ripreso a costruire il duomo nuovo in sostituzione di S. Maria Maggiore allungandolo verso la piazza che andava perciò liberata. La storia del centro civico e religioso di Como è perciò interconnessa grazie anche all'impegno diretto di uomini come il Soldino che profusero abilità amministrativa e beni personali: allora sì che avevano a cuore la città, temevano il giudizio divino e sostenevano le grandi opere d'arte.
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