Cultura e Spettacoli
Sabato 03 Luglio 2010
Quando l'ospedale
"curava" l'economia
Il S. Anna ha sempre richiamato infermieri da tutta Italia. Era un lavoro prezioso, per tante famiglie in stato di crisi. Il prossimo trasferimento del presidio da Camerlata a Montano Lucino riporta alla luce pagine inedite di storia comasca, di forte attualità fino alla fine degli anni Settanta.
«Succedeva una volta: operai tessili o tintostampatori che perdevano il posto per crisi aziendale andavano in ospedale a lavorare da portantino, ma anche da infermiere generico»: è un episodio della storia dell'assistenza comasca raccontato da Nicola De Agostini, direttore generale dell'ospedale Valduce e per trent'anni dirigente amministrativo del Sant'Anna.
Una volta, quando? Forse fino agli anni '70 e, naturalmente, il fenomeno presenta pure la versione femminile, ma per la quasi totalità degli infermieri, la professione non ha mai rappresentato un ripiego. Bensì, una scelta di vita.
E dopo settant'anni, questi sono gli ultimi scampoli di vita tra San Rocco e San Rocchetto dell'ospedale Sant'Anna, pronto a traslocare in località Tre Camini, in una struttura da 250 milioni di euro, un «centro d'eccellenza» mai visto per tecnologie, organizzazione, confort alberghiero. Finisce per sempre un modello di ospedale, di cure e di assistenza, ne avanza un altro e chissà se è già superata anche la definizione di “angeli in corsia” che una volta veniva applicata agli infermieri, a quella figura che «accompagna le persone, non solo attraverso le competenze tecnico – scientifiche, ma anche e soprattutto con la capacità di accogliere, assistere, lenire, ascoltare e comunicare». È una definizione tratta da una lettera della Federazione dei Collegi Ipasvi (Infermieri professionali, assistenti sanitari, vigilatrici d'infanzia). Hanno scritto il loro pezzo di storia dell'ospedale Sant'Anna e dell'assistenza anche gli infermieri e le infermiere, uscite da quella che era la gloriosa Scuola di via Napoleona. Anzi, la prima fu a Villa del Grumello, istituita nel 1957, inaugurazione rimandata per un anno perché non si trovava una direttrice adeguata. Attirava giovani donne da tutt'Italia e non solo perché disponeva del Convitto, ma per la fama che si era conquistata: preparava “le professionali”, in due – tre anni, le “generiche” in un anno. Oggi, è sede del Corso di laurea in Scienze Infermieristiche, tre anni di studi. L' "infermiere generico" è ormai residuale; i "dottori in scienze infermieristiche" sono i più alti in grado, formazione complessa ed aggiornamento continuo; poi gli Oss, operatori sociosanitari o personale di supporto e gli ausiliari, dedicati ai servizi non sanitari. Un tempo, erano tutte divise bianche; le professionali portavano il velo, le generiche la cuffietta e c'erano le suore “cappellone”, come le chiamavano i bambini. Ma negli ultimi quindici anni, i copricapo sono stati aboliti, come le calze bianche delle infermiere. E sono state abolite anche le siringhe da bollire e ribollire per sterilizzarle o altri presidii pluriuso: tutto il materiale, adesso, è monouso, come tutto il programma d'assistenza è personalizzato. Per ciascun paziente, per ciascuna patologia, viene stabilito un livello e, del resto, è cambiato tutto: già nel vecchio Sant'Anna, gli stanzoni da sei o da otto letti sono stati ridotti a camere a tre – quattro posti, com'è stata ridotta la capienza. Repartoni da sessanta letti dimezzati; c'erano quattro chirurgie, A e B, suddivise in maschile e femminile e adesso ce n'è una; l'ortopedia – traumatologia, per esempio, era su due piani di degenza. Adesso, ne basta uno. C'era anche la medicina AI, distinta dalla A e dalla B, ma sono subentrati nuovi servizi, i day hospital, i day surgery, i week surgery, gli interventi ambulatoriali,i pre-ricoveri per risparmiare giorni di degenza, perché l'ospedale dev'essere per acuti, per le urgenze e le emergenze. Un tempo, un'appendicectomia richiedeva una settimana; oggi, un giorno o due e questo comporterebbe un'organizzazione diversa sul territorio. I progetti extraospedalieri, tuttavia, hanno una marcia diversa rispetto a quella dell'ospedale ed è lo stesso Ipasvi ad insistere sull'assistenza infermieristica domiciliare e sulla disponibilità degli infermieri anche per la prevenzione, per l'educazione a nuovi stili di vita: la frattura da ricomporre è infatti quella tra l'ospedale e il territorio. È l'obiettivo del prossimo decennio, esposto in diversi convegni.
Ma il trasferimento del Sant'Anna chiude anche la “pagina delle corse”, come l'ha definita un'infermiera. «Questo è l'ospedale delle corse – spiegò - Si corre dal nostro ufficio al letto del paziente lungo i corridoi così lunghi; si corre fuori e dentro dalle stanze, dal reparto del quinto piano al laboratorio o alla radiologia, sei in una stanza e corri al telefono, sei ad un capezzale e corri all'armadietto dei medicinali. O viceversa. Spazi molto grandi, tempi molto stretti e perciò bisogna correre: è tutto coordinato, cadenzato e misurato al minuto». Ci fu un periodo in cui mancava il 30% del personale: la Svizzera faceva da calamita e le assunzioni non erano praticabili. In pediatria chirurgica, poi abolita, di notte c'era un'infermiera generica da sola con 30 bambini, nessun parente fuori orario. Una notte di neve, in una bambina appena operata subentrò un'emorraggia. C'era un medico solo in tutto l'ospedale e come se la cavarono, lui e l'infermiera, non si sa. La bambina, adesso, ha 46 anni. Ricorda di essersi svegliata in braccio all'infermiera che la cullava, bianco il camice, bianco come l'ovatta il paesaggio fuori.
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