Cultura e Spettacoli
Mercoledì 28 Luglio 2010
Il laghée che insegna
l'arte del riciclo agli Usa
Carlo Sampietro, 36 anni, designer e pubblicitario, nato a Menaggio e dal 2004 a New York, è protagonista di una storia da film, iniziata vincendo la "green card"
Tranciante? Abbastanza. È Carlo Sampietro, 36 anni, designer e pubblicitario, dal 2004 a New York, nato a Menaggio, un'esperienza da volontario nella comunità di Chaca in Perù e in Italia con l'associazione Operazione Mato Grosso. Del lavoro di Carlo parla più il resto del mondo che l'Italia. Elencheremo anche alcune delle cose che ha fatto fino all'anno scorso, ma quella più strana, che piace a New York, è il suo streetproject, "The street is in the house". Un progetto che fa rivivere gli arredi stradali abbandonati di New York, trasformandoli in oggetti di design. Le transenne di legno della polizia diventano un tavolo, i distributori dei quotidiani acquari e lavastoviglie, i bussolotti di gomma delle corsie stradali poltrone. Non basta? Le insegne dei taxi si trasformano in radio-lampade, i cassonetti in erbari. E poi, beh, nell'era di internet, per favore, fatevi un giro sul sito di Sampietro carlosnewyork.com e, come dice Sampietro «attenzione alla dimensione visuale. Io non ho mai letto, non ho mai scritto, so quattro lingue e nemmeno una benissimo, sono pure dislessico, cosa posso fare se non guardare, memorizzare e guardando creare?».
Menaggio-New York, solo andata. Il lago non ispirava?
No, non potevo restare a Menaggio. Viaggio da quando avevo 14 anni, e dovevo andarmene perché in Italia in pubblicità si pensa a vender un prodotto mentre a New York si costruisce il brand, un'immagine, ed è per quello che alcuni prodotti sfondano e altri no.
Da pubblicitario a designer, qual è la meta del suo lavoro?
Ho lasciato Menaggio quando ho vinto la green card, ma ho sempre viaggiato per due mesi l'anno, ho visto 54 Paesi, e ho immaganizzato in testa tutto ciò che ho osservato. Per tredici anni ho lavorato in pubblicità, dopo aver studiato da perito grafico. Nel '96 ho finito le scuole e nello stesso anno cominciato come assistente a Milano in un'agenzia di pubblicità. Dopo due anni sono andato a Londra, per otto mesi, senza successo, ma ho imparato l'inglese che mi è servito per avanzare di carriera in Italia. Fino al 2004 ho lavorato come art director alla Leo Burnett a Milano e con Simone Nobili ho vinto anche il Clear Award, riservato ai dieci giovani pubblicitari più promettenti nel mondo. Poi New York. Ci ero andato nel 2001 e mi era piaciuta moltissimo, così ho provato a vincere la green card, ci sono riuscito subito e senza casa e lavoro, con l'aiuto della mia agenzia, sono venuto a New York.
E ha smesso di viaggiare?
No, dopo mesi senza lavoro, sono stato assunto in un'agenzia internazionale e fino al 2009 ero direttore creativo della Bai/Twba di Londra, andavo là una volta al mese, inoltre la mia ex ragazza è brasiliana... vivevo in aereo! Facevo riunioni tra Londra e Chicago, è stata una grande esperienza un po' meno creativa e un po' più politica, più di responsabilità.
Da New York come vede l'Italia? Pregi e difetti?
Stando in Italia quello che sto facendo non l'avrei potuto fare nè potrei tornare e cercare di fare. Il mercato non è pronto, è più lento della tecnologia e si resta indietro. Un esempio: i taxi. Da Malpensa a Milano costa una follia rispetto a New York. In Italia non capiscono che rendendo i taxi economici si limiterebbe traffico e smog, fanno strade nuove mentre qui al posto delle corsie mettono piste ciclabili potenziando i trasporti pubblici.
Ma... non salva niente dell'Italia e di Menaggio?
Salvo le radici, la cosa più importante. Non sarei quello che sono se non fossi cresciuto a Menaggio. La differenza tra Italia e Usa sta nella "coltivazione" delle persone, a Menaggio il seme viene inaffiato nel campo, a New York cresce in fialetta. È diverso. A Menaggio ho imparato a riconoscere i profumi, i sapori che qui a New York non si sentono. La mia ricerca creativa è frutto di un modo speciale in cui sono cresciuto. Per gli americani il valore della famiglia non è un fatto naturale, per me sì. Il mio asilo aveva un prato enorme sul lago, qui se va bene un bambino all'asilo ha il prato sintetico. Qui la città corre e non si ferma davanti a niente. Per fare domanda d'iscrizione a un kindergarden ci vogliono ventimila dollari e non è detto che poi ti scelgano. Gli americani sono molto specializzati, ma poco flessibili. Qui ognuno fa benissimo il suo lavoro, ma non sa farne un altro.
Lei ha famiglia e figli?
No, ma la mamma dei miei figli dovrebbe essere latina o africana, americana no. Chissà, forse New York non è il posto adatto per crescere un bambino.
La sua creatività ha conquistato New York, da quanto tempo lavora al suo progetto?
La mia ricerca nasce dal fatto che mi hanno cresciuto spiegandomi che le cose si aggiustano, non si buttano. Qui buttano tutto e questo mi disgusta. Ho presentato il mio progetto di recupero degli oggetti urbani a metà maggio 2010, ma ci lavoro dall'agosto 2009.
Dove ha esposto le sue creazioni? Le porterà in Italia?
Il grande debutto è stato all'Icss, equivalente newyorkese del Salone del Mobile di Milano, poi ho affittato una galleria qui a New York. Ho già avuto cento pubblicazioni, anche su El Pais e grosse riviste di design e habitat di tutto il mondo, ma non ho avuto tempo di contattare esposizioni italiane; lo farò magari a Roma e a Milano.
Quali delle sue creazioni ama di più?
Tante, il tavolo fatto con le barriere della Polizia che sbarrano, ma diventando tavolo uniscono, la lavastoviglie e l'acquario nel cassonetto. Trasformo tutto ciò che le strade di New York accantonano.
Chi sono i suoi clienti?
Boutique di moda, alberghi, collezionisti. Per ora non ho clienti italiani, ma un buon ordine me l'hanno fatto da Vienna.
Finora, cosa le ha insegnato New York?
A non mollare mai.
Carla Colmegna
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