Cultura e Spettacoli
Domenica 08 Agosto 2010
L'Italia punta al Pardo
con la rabbia di "Pietro"
Ottima regia, interpreti da applauso, per l'unico film italiano in concorso, diretta dal regista Daniele Gaglianone: ambientato nella periferia di Torino, ha per protagonista un giovane precario, che vive di volantinaggio, con un fratello tossicodipendente. Il finale è una tragedia.
Paziente secondo la semplicità della sua natura, "Pietro", il personaggio che intitola il film di Daniele Gaglianone che nel concorso internazionale del Festival di Locarno rappresenta l'Italia, è, glie lo dicono con feroce sarcasmo, un incassatore, in senso pugilistico. Assorbe semplicemente colpo su colpo, non importa che a inferirglieli siano gli amici del fratello tossico per i quali fa il buffone storcendo il volto in una maschera di cui nessuno coglie il dolore, oppure chi lo sfrutta in un lavoro nero di volantinaggio. In un mondo di violenza indifferente Pietro non ha altro modo di manifestarsi in una cerchia per la quale l'umanità ha smesso perfino di essere un ricordo. E Gaglianone rappresenta con tutta la necessaria asperità, massimamente asciutto, l'emarginazione, di torbida durezza, che quotidianamente mette in croce Pietro in una città - l'ambientazione è torinese - che si riduce a strade intese come parcheggi e a ritrovi chiassosi dove la sopraffazione diventa spettacolo lubrico. Della collera tremenda dei pazienti, però, si sa da sempre; e dopo che nella sua esistenza era comparsa una ragazza, la rabbia di Pietro esploderà rapida, senza consolazione, senza alternative. Un monologo che finisce di ritrarre il personaggio nel quale s'identifica Pietro Casella che l'interpreta cedendogli nome e cognome propri. Con questo lascerebbe l'impressione di essere stato preso dalla strada, se non fosse un attore che con Francesco Lattarulo e Fabrizio Nicastro, rispettivamente il fratello tossico e lo spacciatore che lo tiene in pugno, forma un gruppo altrove, e paradossalmente, comico. Ma è stato opportunamente fatto notare come la cresta dei versanti della comicità e del dramma sia la medesima. Nella loro essenzialità, personaggi e interpreti del film non lasciano interstizio alcuno per compiacimenti o sensazionalismi: la regia ne rifugge, così come da qualsiasi effetto che non sia determinato dallo strazio del protagonista. Come se davvero Pietro e Pietro Casella fossero la stessa persona, quella che il loro ambiente non meno che l'intera società esclude in un esercizio di violenza squallidamente proterva. Nella sua politezza, cui contribuisce la fotografia, la durezza del film è ancora più incisiva, perché "Pietro", a rischio di non raccogliere la simpatia degli spettatori, non elemosina solidarietà. La carriera di un autore come Daniele Gaglianone si può misurare con la progressione delle sue opere a Locarno: un cortometraggio, premiato, nel 1995, un documentario in una sezione collaterale nel 2008, ora un lungometraggio in concorso. Con aspettative legittime; in ogni caso una vittoria l'ha già ottenuta, a Locarno sono stati acquistati i diritti mondiali di distribuzione di "Pietro" che, ulteriore commendabile evento, in Italia uscirà il 20 agosto, senza stoccaggi come quello patito a suo tempo dal pregevole "Mar Nero" la cui diostribuizione perse l'occasione di sfruttare l'affermazione in riva al Ceresio di Ilaria Occhini. Un'annotazione sul film della Piazza, il khirghizo "Svet-Ake", "signor Luce", di Aktan Arym Kubat, che Olivier Pére, direttore del Festival, ha recuperato dal programma della Quinzaine des realisateurs di quest'anno senza timore di non recidere il cordone della sua passata responsabilità della rassegna di Cannes.
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