Cultura e Spettacoli
Domenica 22 Agosto 2010
Bacchelli a Villa Olmo
fu snobbato dai critici
Un sondaggio de «La Provincia» web ha riportato alla ribalta il teatrino di Villa Olmo, a Como. L'83% dei lettori vorrebbe che il gioiello ottocentesco, oggi inutilizzato, avesse ancora un cartellone, come negli anni Cinquanta. All'epoca gli spettacoli avevano un rilievo nazionale, come racconta Alberto Longatti, che di quelle stagioni fu uno dei protagonisti.
Il Teatrino di Villa Olmo? Quanti ricordi personali… Nella mia lunga frequentazione di palcoscenici e platee, anche quel minuscolo spazio di nicchia dentro Villa Olmo viscontea ha un posto privilegiato. Non solo per gli anni dello Stabile di Dino Malacrida (1971-1980) che osò mettere in scena proprio lì l'irrecitabile con esiti talora sorprendenti e persino burrascosi (per esempio scuotendo la polvere da copioni inusuali, quali “Prigionieri” di Marinetti, “La fame” di Bontempelli”, “Il tempio della gloria” di Lucini-Cappa) ma per un episodio precedente, oggi dimenticato, che ha per protagonista il nome di uno scrittore illustre, Riccardo Bacchelli.
Siamo alla fine degli anni Cinquanta. In quel periodo avevo fatto amicizia anche con un attore veneziano di nascita e milanese d'adozione dal talento bizzarro, ricco di una sua particolare carica umana: Fausto Tommei (1909-1878). Oltre che presentare il Festival di Sanremo nel 1956 ed esibirsi ai microfoni della Rai con la Compagnia del Teatro Comico Musicale in dialetto meneghino assieme a Liliana Feldman, Evelina Sironi, Franco Parenti, Febo Conti (condusse fra l'altro una trasmissione di successo, “Ciciarem un cicinin”), il Tommei si era trasformato in impresario, costituendo una propria compagnia, prima al Sant'Erasmo poi al Teatro Alle Maschere di Milano, che comprendeva validi attori quali Lida Ferro, Lucio Rama, Leo Gavero, Umberto Ceriani, Ruggero De Daninos, Miriam Crotti. Gli proposi di venire a Como con qualche pièce del suo repertorio, magari al Teatrino, dove non disdegnò di esibirsi anche un mostro sacro come Cesco Baseggio nei “Dialoghi” del Ruzante. E lui mi replicò che avrebbe tentato, per l'occasione, di rilanciare l'invito a un grande scrittore con il quale aveva da tempi un buon rapporto, appunto Bacchelli.
L'autore de “Il mulino del Po”, già transitato a Como solo in occasione di una sua conferenza al Carducci, non disse di no. Aveva in serbo una ghiotta primizia, che cesellava da anni dopo aver aderito ad una richiesta di Eleonora Duse rimasta senza seguito: nientemeno che una rivisitazione della guerra di Troia dopo la caduta della città, dominata dalla patetica figura di Andromaca, vedova e madre angosciata. Una tragedia in tre atti, quindi, intitolata “Il figlio di Ettore”, alla quale aveva però aggiunto una commedia in due tempi, “Nostos” (Il ritorno), d'intonazione grottesco/satirica, nella quale un antieroe per eccellenza, l'omerico Tersite, lascia intendere tutta la miseria, lo sfacelo di qualunque evento bellico che avvantaggia soltanto gli sciacalli. Secondo Bacchelli, era questo il modo di rinsanguare l'antica pratica del dramma satiresco, dando modo di intendere che la realtà ha sempre un duplice aspetto, esaltante e amaro, sublime e infame.
La possibilità che Bacchelli, autore ed anche regista, portasse a Como in prima nazionale due sue opere teatrali entusiasmò l'assessore comunale al turismo, che era l'on. dottor Giovanni Botta. Venni perciò delegato a seguire la preparazione e la realizzazione dell'evento, dandomi modo di accompagnare per qualche giorno Bacchelli da Milano a Como. Lo scrittore venne a Villa Olmo sulla sua signorile Mercedes 2003 decapottabile, dalla quale scendeva con dignitosa autorevolezza e procedeva poi a piccoli passi sorreggendo la sua imponente mole fisica con un sottile bastone di malacca (ne aveva due, uno da giorno l'altro da sera). Ma il rispetto che imponeva agli estranei si trasformava, perlomeno con un giovane qual ero io allora, in un cordiale scambio di idee dando la stura ad una fioritura di aneddoti, di confidenziali ma urticanti giudizi su cose e persone.
Bacchelli manteneva nei confronti dell'establishmet culturale italiano una posizione di aristocratica indipendenza. Così i critici che intervennero compatti alla “prima” delle due opere teatrali il 13 settembre 1957 stilarono commenti freddamente positivi (Tommei in particolare ebbe molti applausi come buffo Tersite), ma non scambiarono con l'autore nemmeno un saluto. Lo spettacolo venne replicato due volte, poi cadde nell'oblìo, nessuno lo mise più in scena. Quanto a Bacchelli, lo festeggiammo in una serata di gala a Villa Olmo, donandogli una targa ricordo. Chissà dove sarà finita, quell'attestazione di stima. Certo, non è rimasta nella memoria dei comaschi.
Alberto Longatti
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