Cultura e Spettacoli
Martedì 31 Agosto 2010
L'enigma del tempo
si riflette nei verbi
In occasione di "Parolario", dedicato al tempo, abbiamo chiesto alla filosofa e islamologa Carla Di Martino, comasca ma da anni residente a Parigi una riflessione originale. Sapevate che il mondo latino pensa al tempo in modo radicalmente diverso da quello arabo ed ebraico? Se, dopo la lettura, vorrete saperne di più sulla sezione filosofica, ascoltate l'intervista di Laura Di Corcia ad Alfredo Tomasetta, curatore della sezione.
«Cos'è allora il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so: … se nulla passasse, non esisterebbe un passato; se nulla sopraggiungesse, non ci sarebbe un futuro: se nulla esistesse, non vi sarebbe un presente. Passato e futuro: ma codesti due tempi in che senso esistono, dal momento che il passato non esiste più, che il futuro non esiste ancora?».
«E il presente, a sua volta, se rimanesse sempre presente e non tramontasse nel passato, non sarebbe tempo, ma eternità. Se dunque il presente, perché sia tempo, deve tramontare nel passato, in che senso si può dire che esiste, se sua condizione di esistenza é quella di cessare di esistere; se cioé non possiamo dire che il tempo esista, se non in quanto tende a non esistere?» (Agostino, "Confessioni", XI, 14, 17). Ecco l'aspetto più inquietante del nostro rapporto col tempo: una cosa non esiste per noi veramente che quando si è conclusa. Perché il tempo, spiega Agostino è "distentio animi", estensione e dispersione della nostra coscienza nella realtà esteriore. Realtà fatta di corpi e di materia in movimento, fatta di prima, di ora e di poi. Il tempo, dicevano gli antichi (Aristotele), è la misura del movimento secondo il prima e il poi. Ma chi mai è capace di "misurare" il movimento inarrestabile di questo mondo di cose, fenomeni e percezioni, se non la nostra mente?
Se non esistesse la nostra mente, il tempo non esisterebbe. Il che non vuol dire che il tempo esiste solo nella nostra mente: ma proprio il contrario. Nel regno spirituale della nostra coscienza, che è della stessa natura del divino, il tempo non esiste: il tempo esiste fuori, intorno, è legato a questo corpo mortale - cioè temporaneo, non eterno - di cui l'anima si serve come di uno strumento, appunto, per muoversi e conoscere le cose che si muovono.
Ecco allora le due parole chiave per capire non la natura del tempo, ma la natura misteriosa e magnifica del nostro rapporto col tempo: memoria e linguaggio. Memoria, perché un evento non esisterebbe mai, per noi, se non fossimo capaci, o meglio, se non fossimo stati capaci di coglierlo, immagazzinarlo nella nostra mente, e ricordarlo. Nell'attimo in cui l'evento si svolge, noi assistiamo, siamo testimoni. Solo dopo - un attimo dopo - quando l'evento si è concluso e noi possiamo "guardarlo" con gli occhi dell'anima, veramente "sappiamo", conosciamo questo evento, e possiamo parlarne: il linguaggio mentale della conoscenza, proprio come il linguaggio parlato, si articola nel tempo. Ogni frase, ogni parola ha un prima e un poi: per capire il significato di una frase, mentre ne pronunciamo la fine dobbiamo ricordarci l'inizio. Questo è vero per ogni singola sillaba che pronunciamo o pensiamo. In psicologia, questa facoltà di conservare l'inizio di un fenomeno fino alla fine, questa memoria che agisce in coppia con la conoscenza e col linguaggio e che li rende possibili, si chiama memoria di lavoro. Gli antichi la conoscevano e ne fecero la chiave del nostro mistero di esseri mortali, a cavallo fra tempo ed eternità così come, essendo dotati di anima e corpo, siamo a cavallo fra materia e spirito, vita e morte.
Il nostro linguaggio razionale e ordinato usa tre tempi per esprimere i fatti del mondo e dell'animo: il passato, per le cose che furono, il presente, che viviamo e di cui siamo testimoni, e il futuro, per le speranze, le aspettative e i timori. Così funzionano l'italiano e le lingue neolatine: così, nella nostra lingua e nel nostro immaginario collettivo, capiamo e descriviamo il mondo. Ma se tempo, conoscenza e linguaggio sono così intimamente legati, cosa ne è del tempo in culture che si muovono in un universo linguistico, e quindi logico, diverso? Prendiamo un mondo che non è poi così lontano dal nostro: le lingue semitiche. In arabo esistono solo due forme verbali: il "perfetto", che indica un'azione compiuta e si traduce di solito con i nostri passati, e "l'imperfetto", che indica un'azione in corso di esecuzione, e si traduce col presente o col futuro. I tempi o aspetti delle azioni sono solo due: quelle delle cose finite e quello delle cose non ancora finite. Il nostro "presente" è un limbo che passa dall'imperfetto a perfetto, dallo svolgimento al compimento. Coerentemente, la memoria, per noi la facoltà del passato, nel pensiero arabo (Averroè) non è conservazione, ma conoscenza attiva. Per le cose compiute come per le cose incompiute, conoscere è ricostruire, ri-conoscere il percorso dal farsi al fatto: è un atto di sintesi e di memoria. Per noi, oggi, le cose o sono o furono o saranno. In arabo, in ebraico e nelle lingue del ceppo semitico, le cose o sono in via di esecuzione o sono compiute. Ma una volta anche noi percepivamo il mondo delle azioni in modo diverso da oggi: in greco antico, i verbi esprimono l'aspetto di un'azione e non il suo tempo. L'aoristo é l'aspetto puntuale di un'azione: un punto nella linea del tempo; il perfetto ne é l'aspetto risultativo: il risultato di un'azione compiuta. Ci sono azioni e risultati delle azioni. Cose e effetti delle cose. Eredi di molti mondi nel tempo e nello spazio, oggi noi siamo fortunati e avvantaggiati per parlare del tempo. Ma attenzione: le parole, da sempre, ingannano. Tantissimo tempo fa, «in principio era il Verbo». «Era», traduciamo candidamente noi con un bell'imperfetto…
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Chi è l'autrice
Di Martino, filosofa e ricercatrice, nata a Como 32 anni fa, vive e lavora a Parigi. Laureata in filosofia a Pisa, ex Normalista, ha conseguito due dottorati in Italia e in Francia: uno in filosofia, sulla tradizione della psicologia di Aristotele e uno nella geopolitica dell'Islam. Nel suo curriculum le ricerche con il «Centre National de la Recherche Scientifique», con l'«Université Charles de Gaulle Lille III», e con l'«Ecole Pratique des Hautes Etudes» di Parigi. È membro di diverse associazioni internazionali, tra cui l'«European Science Foundation» di Bruxelles e la «Société Internationale pour l'histoire des sciences et des philosophies arabes et islamiques» di Parigi. È autrice di «Ratio Particularis» (Vrin). Sta per uscire il suo saggio sul pensiero politico di Benazir Bhutto.
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