Cultura e Spettacoli
Venerdì 03 Settembre 2010
E Staino il precario
diede vita a Bobo
Il disegnatore e autore satirico ricorda a "La Provincia" come la crisi economica, negli anni Settanta, lo spinse a reagire in modo creativo. "Racconto i turbamenti della mia famiglia - dice - così simile a tante altre".
Per capire com'è cambiata l'Italia bisogna chiederlo a Bobo, il personaggio acuto e disincantato creato trentun'anni fa dalla matita di Sergio Staino. Il disegnatore satirico - collabora con "L'Unità" e il "Corriere della Sera" - ospite del Festival della Mente di Sarzana, commenta il passare del tempo: «Con Bobo ho fatto un accordo: lui rimane giovane e si prende tutte le mie frustrazioni, le magagne, le incazzature. Io invecchio ma mi preservo dall'ulcera».
Quando ha scoperto il fumetto?
A 8 anni. Mio padre mi regalò un libro della Walt Disney: "Arabella contro il diavolo". Mi piacque talmente tanto che ogni settimana aspettavo con ansia un album. In quegli anni alla Disney c'era Carl Barks, il creatore di Paperino, un personaggio che mi piaceva molto, rappresentava la vita di un uomo medio americano nella crisi dell'immediato dopoguerra. Credo di aver trasferito alcuni aspetti di Paperino nel mio Bobo.
Avrebbe mai immaginato che il fumetto sarebbe diventato la sua vita?
Per i ragazzi della mia generazione era una gioia proibita. A scuola c'era una criminalizzazione dei fumetti, tutti i libri si potevano leggere, anche i più orribili, ma i fumetti erano condannati. Una persecuzione. Pensavo che il fumetto fosse legato all'infanzia e che sarebbe finito con l'età adulta. Verso la fine degli anni Cinquanta pubblicarono due libri di Jules Feiffer, un disegnatore di New York, capii che il fumetto è un linguaggio completo, con le strisce si possono dire cose profonde e complesse. Nel 1965 arrivò Linus e lo sdoganò anche nei ceti colti.
Com'è nato Bobo?
Durante una mia crisi economica. Avevo quasi trent'anni, ero terrorizzato di perdere il posto di lavoro a scuola, anche allora c'erano tanti insegnanti precari. Cercavo di arrotondare lo stipendio, tutti mi dicevano che disegnavo bene. Ho creato un personaggio su cui costruire strisce ironiche. L'unica persona che conoscevo veramente bene ero io, ho pensato che se avessi messo da parte la vergogna, avrei raccontato storie che facevano ridere. Mi sono fatto coraggio, le ho mandate a "Linus" ed è iniziata l'avventura. Per un anno ho creduto che svegliandomi una mattina avrei scoperto che era tutto un sogno. Bobo è nato il 10 ottobre 1979 ed era già un maturo trentenne.
Con le sue strisce ha raccontato, attraverso la storia di una famiglia, i cambiamenti degli italiani. Come fa a conoscerci così bene?
Ho iniziato raccontando i turbamenti di una micro famiglia, la mia, che viveva le difficoltà quotidiane: crescere i bambini, il rapporto fra marito e moglie. Dopo anni mi sono accorto di essere il campione di numerose famiglie italiane. Ho svelato con sincerità tutte le emozioni che vivevo, anche se erano imbarazzanti, e migliaia di persone vi si sono riconosciute.
La sua famiglia come ha vissuto questa avventura?
Mia moglie è sempre stata complice, vedeva ciò che disegnavo, spesso lo montavamo assieme. Dopo Bobo arriva Bibi, il ritratto fedele di lei. Da piccoli i nostri figli erano molto contenti di ritrovarsi nelle strisce al fianco di mamma e papà. Con l'adolescenza sono cambiati. La prima a ribellarsi è stata Ilaria, ho cercato di disegnarla un po' più grande e lei si è arrabbiata tantissimo. Ricordo che si chiuse in bagno, non voleva più parlarmi; allora le promisi che nelle strisce sarebbe sempre rimasta bambina. Quando uscì dal bagno mi chiese: «Ma Qui, Quo, Qua sono mai cresciuti?». Michele ha vissuto il cambiamento con più tranquillità. Quando parlo delle peripezie dei giovani di oggi il protagonista è lui.
Secondo lei in Italia si può fare satira disegnata?
Sulla carta stampata la satira è la nicchia perduta dal potere. Chi legge i giornali è un potenziale antigovernativo. Questo governo punta solo all'informazione televisiva, vale solo ciò che dice la tv, in particolare Rai1 con Minzolini. Non è facile fare satira in Italia, in televisione ce n'è sempre meno e la poca rimasta viene minacciata di chiusura. Noi disegnatori satirici finiremo protetti dal Wwf.
Come crea una striscia al giorno?
Il sottofondo generale nasce dal mio interesse verso l'informazione e verso ciò che accade nel mondo. Le vignette si fanno su argomenti che il lettore conosce, per questo le vicende politico-sociali italiane hanno la priorità. La vignetta ha bisogno di sintesi. Sto sempre con le orecchie dritte quando vado dal parrucchiere o dal pizzicagnolo. Verso le 17 e 30 inizio a guardare i giornali on-line, alle 19 il primo tg, poi un altro e infine mi viene l'idea.
Chi sono i suoi lettori?
Per pessimismo penso che siano persone anziane, la generazione che ha annusato il Sessantotto. Recentemente ho partecipato ad alcuni concerti dei «Têtes des Bois», loro cantano canzoni di impegno civile e politico e io disegno vignette su un grande schermo; ho scoperto migliaia di giovanissimi che mi seguono. Quando incontro un ventenne che mi legge vorrei metterlo in bacheca.
È sempre stato un osservatore attento. Cosa l'indigna maggiormente?
L'ingiustizia ancora così diffusa in Italia. Se tanti riuscissero a vedere l'ingiustizia che ci circonda non rimarrebbero tranquilli la sera prima di andare a letto. Non sopporto l'ipocrisia, la capacità di nascondere dietro aspetti perbenistici un egoismo personale spaventoso.
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