Cultura e Spettacoli / Como città
Venerdì 17 Settembre 2010
1910-2010 il Carducci
compie cent'anni
L'Istituto culturale ha un secolo, fu eretto in soli otto mesi perché "il ceto operaio preferisse la scuola alla taverna" - Fitto il calendario delle celebrazioni di domani
Si celebra il 18 settembre il secolo di vita dell'Istituto Carducci, nato nel 1910 per offrire ai comaschi nuove opportunità di crescita culturale. Fitto il programma delle iniziative, riassunte, con la storia della fondazione, in due pagine speciali sul nostro quotidiano di oggi.
Alberto Longatti
Aveva ragione il sottosegretario alla pubblica istruzione on. Antonio Teso, all'inaugurazione dell'istituto Carducci il 20 settembre 1910, a rilevare che «il fausto avvenimento è stato possibile soltanto in questa regione operosa e industre, abituata a chiedere tutto alle proprie energie e nulla al Governo». Tanto vero che Enrico Musa, ingegnere industriale e imprenditore tessile, per raccogliere i fondi necessari all'impresa, non aveva chiesto sovvenzioni, ma si era rivolto a comaschi che già avevano apprezzato l'attività della Pro Coltura Popolare, costituita nell'agosto 1903. Questa associazione si era assunto il compito di sviluppare «l'educazione morale e intellettuale della classe lavoratrice» organizzando corsi di studio «divisi secondo le varie tendenze, i gusti, le necessità degli allievi». Iniziative simili c'erano già a Pavia, Padova, Cremona e altre città per ridurre l'alto tasso di analfabetismo. Spicca, nel manifesto di fondazione, l'imperativo etico rivolto proprio al ceto operaio perché preferisse «la scuola alla taverna, il libro geniale al gioco della morra, la discussione pacata alla diatriba nella bettola, il ragionamento all'invettiva». Negli anni della sua opera educativa la Pro Coltura dovette andare raminga in sedi diverse e spesso non idonee, offerte da enti che ne apprezzavano le finalità, quali la Camera del Lavoro, il Circolo Artistico, le Società di Mutuo Soccorso e così via. Con l'andar del tempo, la necessità di trovare un luogo attrezzato indusse il Musa, con il valido appoggio dell'avvocato tornasco Guido Casartelli, segretario della Camera di Commercio, a radunare un gruppo di soci fondatori per costruire un palazzo che ospitasse numerose aule di studio e una sala per conferenze, proiezioni, concerti. I pionieri furono 74: fra di loro, un uomo politico autorevole come Paolo Carcano, facoltosi industriali, valorosi professionisti quali l'arch. Frigerio, il dott. Tomaso Porta, l'avv. Rebuschini, il tipografo Aristide Bari, il direttore del quotidiano <+G_CORSIVO>La Provincia<+G_TONDO> Massuero, il nobiluomo Carlo Bellasi, l'ingegner Perti, l'ing.Negretti, futuro podestà, lo scultore Pietro Clerici, già docente di scultura, e altri. Nel 1908 venne varato l'istituto Carducci, qualificandolo ente morale con regio decreto. Il Comune cedette un terreno vicino al lago e il giovane architetto milanese Cesare Mazzocchi, cugino del Musa, venne incaricato di progettare il palazzo in stile tardo liberty su un'area triangolare. Fecero in fretta. Il 14 dicembre 1909 venne posata la prima pietra, il 2 luglio 1910 si arrivò alla copertura, il 20 settembre era pronto l'edificio già arredato con mobili realizzati da ditte artigiane e il materiale didattico in uso dalla Pro Coltura, fra cui quattromila libri per la biblioteca. Otto mesi di lavoro, soltanto, per un palazzo dotato di «una modernità ben sentita nelle linee generali e nei dettagli, dalla quale ben traspare però la legge dell'arte nostra tradizionale che è grandezza e semplicità di scomparti», secondo il giudizio dell'arch. Frigerio, di solito era parco di lodi.
Tutto era in linea per riavviare una macchina culturale tesserando soci (dopo tre anni erano già oltre 4000) e reclutando allievi per i corsi, perché «il popolo comasco possa trovare qui luce di pensiero e libertà di coscienza», come disse con appassionato slancio l'ing. Musa nel discorso inaugurale. Ad accogliere festosamente i primi visitatori, c'erano mostre d'arte, un'esposizione di bambole confezionate da adolescenti, un grande banchetto, un'alata conferenza del professor Giuseppe Albini, docente nella stessa università bolognese dove giganteggiò Giosue Carducci, il "poeta della Terza Italia" non a caso nume tutelare dell'istituto. Proposte di alto livello culturale, fruibili solo gradualmente da quanti accorsero al fausto evento, in una mattinata autunnale illuminata da un tepido sole. Erano troppi per trovar posto insieme, una folla enorme in corteo, con i 175 labari di associazioni d'ogni tipo che sventolavano sopra un mare di "magiostrine", il copricapo di paglia maschile diffusissimo nei mesi caldi. Una folla dove quelli del popolino, che doveva «preferire la scuola alla taverna» non erano molti; sarebbero venuti dopo. Al tripudio inaugurale erano i ceti medi a dominare, la laica borghesia illuminata che aveva contribuito ad elevare questo tempio del sapere per tutti, ed anche i dirigenti politici delle tendenze progressiste, radical-democratiche, i postrisorgimentali che ancora credevano nell'aureo motto di D'Azeglio, «fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani». La Grande Guerra avrebbe spazzato via molti sogni. Ma il Carducci ha resistito. È rimasto. E c'è ancora.
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