Cultura e Spettacoli
Lunedì 20 Settembre 2010
Pirandello, a Como la fine
del suo sogno d'amore
In una camera d'albergo l'"atroce notte" con l'attrice Marta Abba - Ma il legame dello scrittore con il Lario era inziato molti anni prima
L'abito/divisa l'aveva addosso anche nel periodo dal 30 settembre al 9 ottobre 1925, quando arrivò a Como per presentare al Politeama con il suo Teatro dell'Arte una serie di spettacoli, fra cui l'immancabile "Sei personaggi". La Abba era la fulgida star della compagnia, affiancata da validi attori, fra cui Lamberto Picasso e un giovanissimo Gino Cervi. Ebbe successo, replicato l'anno successivo, dall'11 al 20 maggio, quando la compagnia occupò di nuovo il Politeama con un altro cartellone, in cui ripresentò il capolavoro pirandelliano. Fra le due stagioni a Como c'era stata la tournée in Germania, meno fortunata di quanto avesse sperato Pirandello, che nella nazione tedesca era di casa da quando nel 1891 si era laureato a Bonn in filosofia.
Fra Bonn e Como esisteva comunque un trait d'union perché nel 1889 lo scrittore aveva trascorso nella città lariana un periodo di vacanza, anche per rimettersi da una crisi di endocardite, prima di recarsi in Germania per iscriversi all'università. Lo aveva trascorso a Cavallasca, nella prestigiosa villa Imbonati, accolto - come raccontano gli storici - dalla sorella Lina e dal marito Calogero De Castro, ma in realtà, al pari dei suoi congiunti, ospite del proprietario dell'edificio, Giuseppe Butti detto Peppot, che era molto amico della famiglia Pirandello per essere stato lungamente in rapporti d'affari con il padre di Luigi, il ligure Stefano, produttore minerario di zolfo. Fu il Butti a descrivere per primo le bellezze lariane a Pirandello fanciullo, accendendone la fantasia al punto da accettare con entusiasmo l'offerta di una visita al territorio lariano. Il soggiorno a Cavallasca sarà ricordato nostalgicamente dallo scrittore in Germania, come un'oasi di serenità. Nella prima delle sue mediocri prove poetiche, le "Elegie renane", la dipinge così: «O rosea in faccia ai primi, aerei gioghi de l'Alpi /villa degli Imbonati, nido di verde pace/Ivi con lo sbaldore d'innumeri uccelli, tra'l folto/de' campi tuoi, col bacio fulgido del tuo sole/ebbi da te/non mai, siccome in quell'ora, diletta/l'addio materno: l'ultimo, in Italia, tuo». Ma l'addio non era soltanto patriottico, nascondeva, come in ogni momento cruciale dell'esistenza di Pirandello, il trasporto amoroso per una donna. In questo caso, si trattava di una bruna ragazza comasca che il giovanotto di belle speranze andava a trovare in città, aspettando che si affacciasse alla finestra sicuro che «d'amor gli parla ed è sincera». Un "amor" romantico finito male, non solo per il forzato distacco. A distanza di tempo, lo scrittore viene informato infatti che la sua giovane conquista si era immiserita in un turpe mestiere e «maestra è ora di vizi e locandiera», come mestamente la descrive in un'altra poesia del 1901, "Congedo", tuttavia perdonandola se non altro in virtù dell'idillio perduto nel vortice del tempo («Non nasconderti il viso, che di te/non ha ragione di lagnarsi: in me/vani egli or vede l'amor tuo, la fede/ che gli giurai e vana ombra pur sé»).
Altri cenni sui giorni trascorsi a Como non mancano nelle acerbe prove poetiche di un Pirandello ancora celibe, confermando anche, in un breve passo dai toni umoristici, di conoscere bene la storia lariana. Como gli rimase sempre nella mente e nel cuore, non soltanto per l'«atroce notte» in albergo ossessionato dal suo estremo, infelice delirio erotico per una donna. Traspare anche da alcune sue opere. Per esempio, nella commedia del 1920 "Come prima, meglio di prima" ambienta l'azione scenica, certo non a caso, in una villa «vicina al lago di Como». Circondata, aggiungiamo, dai «verdi prati» della sua giovinezza.
Alberto Longatti
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