Cultura e Spettacoli
Mercoledì 29 Settembre 2010
Emil, dopo "Milano no"
un disco da popstar
Emiliano Baragiola, canturino, 30 anni: l'estate scorsa è stato un caso nazionale, per il suo "tormentone" trasmesso da tutte le radio. Ora firma "Piccolo pagliaccio italiano" per la prestigiosa etichetta Warner. Ascolta una sua canzone.
Pubblicare un album d'esordio per una multinazionale del disco come la Warner non è impresa da poco di questi tempi, eppure al cantautore canturino Emil è bastato presentare i provini di alcune sue composizioni per garantirsi la stima degli addetti ai lavori dell'etichetta. Emiliano Baragiola, questo il nome all'anagrafe del debuttante, 30 anni, ha firmato "Piccolo pagliaccio italiano", dieci canzoni che ne rappresentano il mondo artistico, tra ironia, lucida analisi della società giovanile di oggi e slogan apparentemente semplici. Un cantautore senza pretese intellettuali ma votato alla riscoperta del pop attraverso i contenuti e le frasi fulminanti, quasi un incrocio tra Rino Gaetano e Alberto Camerini. Emil si racconta a "La Provincia".
Il suo album è stato un'autentica sorpresa, da quanto ci stava lavorando?
Anche se non ho mai pensato di pubblicarle prima, è da molto che mi diverto a scrivere canzoni. All'inizio erano più romantiche e intimiste, nel 2005, però, ho cambiato decisamente il tipo di approccio arrivando allo stile di oggi. Questi pezzi risalgono a quel periodo e ne ho rispettato l'ordine cronologico. Ho cercato di prestare attenzione ai testi, anche perché non sono certo un cantante. Nel frattempo ho scritto ancora tanto. Se tirassi fuori tutto quello che ho scritto sarei già al quinto album.
Si è fatto conoscere con il singolo «Milano No», ce ne vuole raccontare le particolarità?
Quella canzone ha suscitato un'attenzione particolare perché è stata costruita utilizzando alcune frasi che sono arrivate via e-mail ad un blog che raccoglieva le lamentele dei milanesi sui problemi della città, e altre strofe inventate da me.
Ha mai pensato di fare la stessa operazione su Como o Cantù?
No perché vivo più a Milano, di Como ogni volta rimango stupito che dopo le nove di sera non ci sia in giro più nessuno.
La sua scrittura è parecchio ironica ma anche amara come in «Mi distruggo»…
Credo sia il brano più provocatorio dell'album, nato dall'osservazione di come molti genitori, spesso di famiglie ineccepibili, arrivino a scoprire che anche il loro figlio perfetto, vittima della noia, conduce una vita da giovane sbandato. In "Piccolo pagliaccio italiano", invece, parlo dell'ipocrisia di tutti i giorni, del "ciao, come va, tutto bene" quando in realtà non ci importa nulla di chi ci sta davanti. Il mondo è pieno di "piccoli pagliaccetti", ma non è colpa di nessuno, basta riderci sopra. Cerco di raccontare storie moderne rimanendo legato alla classicità. Bisogna smettere di pensare che una canzone allegra sia per forza banale e che per avere contenuti debba essere necessariamente triste. È ora che il pop, anche in Italia, abbia la sua rivincita.
La passione per la musica le arriva dalla famiglia?
No, in famiglia nessuno, nemmeno per cinque minuti, ha mai pensato di non fare il falegname. Ho però una nonna bergamasca che nei lontani ricordi di bambino armonizzava canti alpini con i suoi fratelli, e lo faceva pure bene.
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