Cultura e Spettacoli
Sabato 02 Ottobre 2010
Un antenato comune
nel Dna dell'umanità
È in libreria, il nuovo libro del più celebre genetista italiano, 88 anni. Per gentile concessione dell'editore San Raffaele, ne anticipiamo un estratto, che fa luce sui nostri antenati...
di Luca Cavalli-Sforza
La selezione naturale è la scelta del più adatto, ed è assolutamente mirata. Il fatto che gli animali continuino a morire prima di arrivare a procreare e che solo un piccolo numero di essi riesca a riprodursi indica che quelli rimasti vivi sono più adatti a sopravvivere e a far sopravvivere la specie. Oggi le differenze di mortalità e fecondità fra individui della nostra specie sono minime, ma in passato erano molto più importanti e, se si considerano animali piccoli come gli insetti, si vede che devono tuttora nascere molti più individui perché possano raggiungere il numero necessario a far sì che ne sopravvivano abbastanza da mantenere la specie. Questa mortalità elevata che si osserva in molti animali è dovuta alla limitazione delle risorse disponibili, e fu uno dei motivi principali che spinse Darwin a proporre il concetto che l'evoluzione è diretta dalla selezione naturale (...).
La selezione naturale è la conseguenza della diversità delle probabilità di sopravvivenza dell'individuo e di fertilità degli individui. La misura della selezione naturale di singoli caratteri ereditari, cioè della capacità di adattamento, si calcola in base alla probabilità di sopravvivenza dei portatori del carattere e al numero di figli che hanno rispetto al resto della popolazione. Sono due statistiche che si possono calcolare, in teoria, per qualunque carattere particolare, per misurarne l'adattamento e concludere se è affetto da selezione naturale che tende ad avvantaggiare o danneggiare i portatori. Ma bisogna stare attenti ad assicurarsi anche dell'ereditarietà del carattere. Cambiamenti dell'intera popolazione nel tempo o differenze nello spazio non sono necessariamente indici di selezione naturale. Un esempio interessante è il continuo aumento della statura media, specie tra gli europei dall'inizio dell'Ottocento, con rapidità sempre crescente. Ci si può chiedere, allora: è un fatto di selezione naturale, cioè un individuo più alto della media sopravvive di più e ha più figli? La risposta, in questo caso, è no. Vi sono anche forti effetti ambientali, e la ragione dell'aumento di statura è probabilmente un continuo cambiamento dell'ambiente intorno a noi. L'uso di vitamine ha certamente avuto un peso. Vi sono vecchi esperimenti sui pesci che mostrano un effetto della luce; potrebbe anche essere che viviamo in un ambiente in cui la luce tutt'intorno cresce senza sosta. All'inizio del secolo scorso, mia madre studiava di notte per laurearsi, a lume di petrolio, che non era molto forte.
Se si vuole misurare l'adattamento di un qualunque carattere – che sia il colore dei capelli oppure la miopia – si fanno delle statistiche che riguardano la probabilità di sopravvivenza e il numero di figli fra gli individui che hanno quel dato carattere – capelli scuri o biondi, miopi o normovedenti – e li si confronta con il resto, o anche semplicemente con la media della popolazione. Qui la fitness si può calcolare, anche se non è facile e se, a dire il vero, è stata molto di rado calcolata in modo esatto, tanto che non possiamo dire se la variazione di questi caratteri ereditari osservata oggi è dovuta a selezione naturale o ad altre cause. La mutazione è casuale, tuttavia il caso, e quindi le leggi della probabilità, hanno anche un'altra funzione più diretta all'interno del processo evolutivo. Ma che cosa è il caso? Il modo più semplice di capirlo è quello di simularlo, per esempio lanciando una moneta per aria e seguendo quante volte viene testa o croce in molti lanci successivi (o con il lancio di molte monete insieme). Anche i risultati della roulette a Montecarlo, che sono disponibili, sono un metodo utile. L'effetto casuale che vogliamo studiare dipende dal numero di individui che compongono una popolazione; è un fenomeno che viene chiamato drift, o deriva genetica, e dipende dal fatto che tutte le famiglie hanno un numero diverso di figli, da zero in su. Molte famiglie hanno zero figli, e non perché non vogliano averne, ma perché non ci riescono; se una famiglia ha zero figli e se uno dei genitori porta una mutazione rara, magari mai successa prima, è evidente che quella mutazione è perduta: è come se non fosse mai avvenuta. Se invece la stessa mutazione avviene in un genitore di una famiglia con molti figli, ecco un vantaggio iniziale per quella mutazione. Il caso, allora, dipende dalla variazione del numero di figli per famiglia. Se si va all'indietro, si arriva a una famiglia da cui discendiamo tutti, ed è il motivo per cui si parla di Adamo ed Eva.
Circa 100.000 anni fa, i nostri antenati erano veramente pochi, non più di un migliaio di individui. Oggi i loro geni, le loro variazioni genetiche, i loro mutanti non sono tutti rappresentati; qualcuno è scomparso. E questo ci permette di provare a capire, usando parecchi geni, quanto indietro si possa risalire, fino a trovare un solo individuo dal quale discendiamo. Arriviamo così ai cromosomi di un Adamo vissuto 120.000 anni fa. Per arrivare a Eva, invece, dobbiamo risalire a 170.000 anni fa, il che ci dice che l'età dell'uomo, e ancor più quella del mondo, così come è calcolata sulla base della "Genesi" biblica, non è credibile; e ci dice, fra l'altro, che Adamo ed Eva non potevano sposarsi. Il fatto che si possa risalire a un solo antenato comune quando si studiano singole mutazioni genetiche è soltanto perché in base a una variante genetica osservata possiamo andare indietro fino a quando può essere apparsa. Più geni studiamo, più indietro possiamo andare, ma a un certo punto ci fermiamo a un antenato comune che aveva già tutti i caratteri genetici studiati.
(© «La specie prepotente», San Raffaele, 192 pag., 18,50 euro)
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