Cultura e Spettacoli
Martedì 12 Ottobre 2010
Silvio Raffo e la scrittura
"Addomestico fantasmi"
Prosegue il 12 ottobre, all'Istitito Carducci di Como, in viale Cavallotti 7, l'appuntamento con il «Salotto Letterario», curato da Livia Porta. Oggi il protagonista è Silvio Raffo, umanista, poeta e narratore. La sua conferenza si intitola «Che cosa significa per me la scrittura». Ecco un'anticipazione per i lettori de «La Provincia».
di Silvio Raffo
Non riesco a immaginare la mia esistenza prescindendo dalla scrittura. La scrittura è parte integrante ed essenziale della mia vita. Poetica e in prosa, senza che io riesca a dare la preminenza all'uno o all'altro versante. La poesia esprime la mia parte luminosa e fosforescente, del sagittario (mio segno di base) la prosa più il mio lato scorpionico (ascendente) tenebroso e attratto comunque dall'ombra. I miei maestri sono stati in poesia i greci e Emily Dickinson, di cui ho tradotto l'opera omnia, in poesia alcune scrittrici di gialli (Mary Roberts Rinehart, Mignon G. Eberhart, Agatha Christie) e narratori del genere psicologico, come Thomas Bernhard o Henry James.
Ho scritto da dodici anni in avanti, ininterrottamente. il mio primo racconto era un giallo intitolato «Il gatto della strega» (a me piace il giallo gothic, horror con risvolti fantastici, non il poliziesco), la prima poesia a 14 anni una quartina: «Come crudele la pioggia / che riga di lacrime il volto/ disfatto/del vetro!»). Ho scritto una ventina di romanzi, di cui solo otto pubblicati (l'ultimo è «Eros degli inganni», appena uscito da Bietti), tradotto otto poetesse angloamericane, pubblicato una dozzina di testi poetici. per quanto riguarda la saggistica, mi sono occupato di Platone, Seneca, Marco Aurelio e i lirici greci. Ho sempre promosso la poesia femminile, ripescando autrici ingiustamente dimenticate come Ada Negri, Sibilla Aleramo, Amalia Guglielminetti. Ho scritto anche per la scuola e per il teatro. Credo, in prima e in ultima analisi, che l'attività più completa o perlomeno quella che mi realizza più di ogni altra, sia proprio la scrittura per il suo potere di ricostruzione della realtà ma anche per la sua potenza catartica nel profondo. Noi scriviamo per dar forma "piacevole" ai nostri fantasmi, che altrimenti ci soffocherebbero. Scrivendo li liberiamo. La compagnia che fanno i personaggi delle proprie storie non può fartela nessun essere umano. Per questo è profondamente vero ciò che mi disse anni fa un amico, che i miei libri non sono altro che i figli che non ho mai avuto. Figli, diversamente da quelli che ha chi procrea, unici e immortali.
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