La pittura che resiste

La resistenza della pittura. Non è il titolo, ma potrebbe esserlo, della splendida mostra "La Collezione" al Museo d'arte di Mendrisio, a cura del suo direttore Simone Soldini. Dipinti, ma anche sculture, incisioni e disegni, di 139 artisti dal 1600 al 2008, e non poche opere anonime

La resistenza della pittura. Non è il titolo, ma potrebbe esserlo, della splendida mostra "La Collezione" al Museo d'arte di Mendrisio, a cura del suo direttore Simone Soldini.
Dipinti, ma anche sculture, incisioni e disegni, di 139 artisti dal 1600 al 2008, e non poche opere anonime tra le più antiche, di proprietà del Museo sono esposte nella sua sede nel complesso di S. Giovanni. L'esposizione permanente è stata resa possibile dal completato restauro dello stabile, sorto nel secolo XIII come ospizio degli Umiliati, divenuto dal 1477 convento dei Servi di Maria e dal 1954 proprietà comunale.
Se le opere più antiche sono di autori ticinesi e lombardi, quelle dell'Ottocento annoverano autori italiani, mentre il Novecento si allarga a diverse personalità internazionali.
Il Museo è nato per aggregazione di nuclei privati, a partire dal 1982 con la Collezione Aldo e Aldina Grigioni, cui si sono aggiunte 400 opere del Fondo del pittore ticinese Pietro Chiesa, quindi le 1500 opere del Novecento del Fondo Gino  e Gianna Macconi.
Sorprende anche l'attenzione al contemporaneo, da intendersi alla lettera, perchè l'ultima e più impegnativa sala è dedicata proprio alle opere degli ultimi vent'anni, a cavallo tra XX e XXI secolo.  E se non manca una garbatissima, minuscola installazione del 2005 di Adriana Beretta proprio a conclusione del percorso, la pittura ha anche qui una presenza decisiva con opere di indiscutibile qualità con Sergio Emery, Gianni Paris, Paolo Mazzucchelli, Gregorio Pedroli, Adriano Pitschen.
La vitalità della pittura che, malgrado tutto, l'esposizione intende testimoniare, mi sembra attestare la resistenza della pittura. Malgrado tutto. Il catalogo dedica interviste a critici e artisti: brevissime quelle - sulla fortuna mediatica della avanguardie dagli anni '70 - ai critici Gillo Dorfles e Philippe Daverio, che lasciano il tempo che trovano raccontandoci che il pubblico negli anni '60 non aveva nozione delle avanguardie: perché adesso ce l'ha, con l'insegnamento della Storia dell'arte limitato a pochi indirizzi scolastici? Molto meglio le interviste agli artisti: Cesare Lucchini denuncia la sopravvalutazione della tecnologia in una «realtà globalizzata e omologata» dove non ha più senso parlare di «territorio di appartenenza» e sostiene che «la marginalizzazione della pittura» negli ultimi cinquant'anni deriva da un «fraintendimento», dal credere «che il rinnovamento dell'arte» consista «nell'utilizzo di nuovi mezzi», quando invece è questione di «contenuti nuovi» e conclude che la pittura «per quanto negata e vilipesa, rinasce però sempre perché è risposta a una necessità interiore». Lucchini chiarisce che chi opera con i nuovi media e talora si riaccosta alla pittura, lo fa superficialmente, come «molta pittura recente» che «si avvale di immagini fotografiche» e le riprende «in forma quasi automatica», mentre il lavoro del pittore sta nel «tendere a» senza sapere ancora esattamente dove lo porterà il processo pitttorico, che è dialettico e non banalmente riproduttivo.
Viva e resista la pittura, ci dice questa mostra, contro la faciloneria e la volgarità attuale. Ancora una volta sono i nostri cugini svizzeri a lanciarci un salvagente. Questa mostra è un reciproco omaggio, tra Canton Ticino e Italia, uno stimolo a collaborare ancora, come la storia c'insegna che è sempre avvenuto. Quasi inestricabili sono infatti gli intrecci culturali e di vita, soprattutto durante gli anni terribili delle due guerre e del fascismo.
A fine '800 la cultura artistica ticinese procedette verso la "macchia" nei generi del paesaggio e del ritratto, con l'occhio alla Milano scapigliata e divisionista: vertici espressivi in Filippo Franzoni, Cesare Tallone, Edoardo Berta, Pietro Chiesa, pittore poetico, che illustra anche le problematiche sociali metropolitane. Il rinnovamento del XX secolo oscillò fra novecentismo ed espressionismo e solo dagli anni Cinquanta iniziò l'apertura verso il surrealismo e l'astrazione grazie a poche ma vivaci gallerie. Dai nomi di Carrà e Sironi, Grosz e Max Ernst si giunge a quelli degli informali Enrico Della Torre, Parmeggiani, Chighine e il lecchese Morlotti, passando per gli astrattisti di Como Mario Radice (un olio anni '60), Giuseppe Giardina (un disegno a penna e un acrilico) e Mimmo  Totaro (una limpida acquaforte).

Alberto Rovi

Museo d'arte Mendrisio. La collezione. Fino al 14 novembre 2010.La Collezione di Mendrisio

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