di Davide G. Bianchi
Il libro non c'era sfuggito: l'avevamo recensito in febbraio, mettendo "in pagina" l'effige di Kurt Cobain, il leggendario fondatore dei Nirvana, morto suicida nel 1994. Ora è ufficiale: «Le rive fatali di Keos» (Fondazione Fabretti) di Paolo Luca Bernardini - 47 anni, ordinario di Storia moderna dell'Università dell'Insubria di Como, già docente alla Boston University - è fra i libri dell'anno indicati dal «Time Literary Supplement». Il volume, che tratta del «suicidio nella storia intellettuale europea da Montaigne a Kant», è stato segnalato da Felipe Fernández-Armesto, l'autore della «Storia del cibo» (Bruno Mondadori) e di altri importanti contributi di storia sociale e culturale, firma autorevole del Domenicale del «Sole 24 Ore».
Il tema del suicidio potrebbe sembrare cupo, ostaggio della depressione; Albert Camus nel suo bellissimo Mito di Sisifo scriveva invece che non vi è argomento filosofico più importante, perché in primo luogo dobbiamo decidere se la vita valga la pena d'essere vissuta. Infatti, la cultura moderna, uscendo dal fideismo medievale, ha posto sul piatto il più radicale dei quesiti: a chi appartiene la vita? L'uomo è padrone della sua esistenza? A ben vedere è il quesito sui cui non facciamo che imbatterci ogni qual volta parliamo di eutanasia e delle formule edulcorate che usiamo per poterne discutere (testamento biologico, fine-vita, ecc…). Diverse volte ne abbiamo parlato con Giovanni Fornero, l'allievo di Nicola Abbagnano, che è fra i pochi ad aver scritto contributi filosofici sulla bioetica considerati equilibrati e onesti sia parte cattolica che laica. La vita è sacra e non appartiene all'uomo, dice il cattolico; è la qualità della vita a dirci se quest'ultima vale la pena dell'esser vissuta, dice invece il laico (e la risposta non è sempre affermativa). Andando oltre questa simmetria, nel suo «Le rive fatali di Keos» Bernardini ha posto l'attenzione sull'incombenza del "nulla" nel gesto estremo del suicidio: »la pensabilità stessa del suicidio equivale alla pensabilità (della realizzazione) del nulla, dal momento che le potenzialità di annichilimento presenti in un gesto sono infinite».
Sempre Camus faceva cenno a quell'autore che, per richiamare l'attenzione su di sé, si era suicidato subito dopo aver dato alle stampe la sua opera; più saggiamente, Paolo Bernardini ha invece preferito confermare il Nietzsche che lamentava come le azioni dei filosofi abbiano ben poco a che vedere con i loro scritti.
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